Il fascino del Medioevo bresciano in una fortunata saga di gialli a km 0. Enrico Giustacchini e i segreti del suo Albertano

In occasione dell’uscita in libreria de “Il giudice Albertano e il caso del suonatore nella notte” (Liberedizioni, 2020), settimo libro giallo sul medioevo bresciano frutto della penna del giallista bresciano Enrico Giustacchini, abbiamo intervistato l’autore.

Ci siamo fatti raccontare come il giudice Albertano, giurista e filosofo illuminato realmente attivo in provincia nel secolo XIII, sia diventato il protagonista di un ciclo di gialli logico-deduttivi ambientati in un medioevo bresciano sorprendente ricostruito in maniera accurata. Ma non solo: abbiamo provato a scoprire i segreti del successo di questo ciclo, un ciclo giunto al settimo capitolo che può vantare – caso più unico che raro dalle nostre parti – addirittura un fan club dedicato. Fan club che ha curato una video-presentazione del romanzo che volentieri ospitiamo anche su questa pagina a corredo dell’intervista.

Intervista a cura della redazione di Brescia si legge

D: In sintesi: chi è il Giudice Albertano protagonista dei romanzi di Enrico Giustacchini?

Albertano da Brescia è stato un giurista e letterato vissuto durante il tredicesimo secolo. E’ passato alla storia per diversi trattati, in cui si occupa soprattutto di etica e di economia, ricchi di rimandi allo spirito del francescanesimo che stava nascendo proprio in quegli anni di cui Albertano – da laico – condivideva lo spirito umanista e illuminato. Quello che conosciamo di Albertano lo conosciamo soprattutto attraverso le sue opere, attraverso documenti pubblici e soprattutto trattati. I dati relativi alla sua biografia sono invece pochi: sappiamo che nel 1238 a Gavardo comandava la guarnigione che difese la città da Federico II, ad esempio. Proprio a seguito di questi eventi, l’Albertano storico fu catturato e durante la prigionia scrisse il primo dei suoi famosi trattati.

L’episodio della difesa di Gavardo nel 1238 è stato proprio l’evento che, da gavardese quale sono, mi ha spinto ad avvicinarmi a questo personaggio. Il primo romanzo è ambientato proprio a Gavardo nel periodo immediatamente precedente all’arrivo di Federico. Doveva essere un romanzo singolo, un divertissement… e invece da qui sono partito, stimolato anche dai buoni riscontri che il primo libro ha avuto, per approfondire ulteriormente la figura di Albertano. Una figura che comunque si è rivelata fin da subito di straordinario interesse.

D: Nei romanzi del ciclo di Albertano, che seguono la struttura del classico giallo logico-deduttivo, fino a dove arriva la storia e dove comincia invece la creatività dell’autore?

Non conosciamo molti dettagli rispetto alla vita del vero Albertano. Abbiamo però la fortuna di disporre di documenti molto precisi su come la società era organizzata al tempo ed anche sulla topografia dei luoghi. Ciò mi permette di ricostruire in modo molto dettagliato e fondato l’ambientazione, che non è soltanto una cornice ma che è anzi uno degli elementi centrali del racconto.

Premesso questo, i libri del ciclo di Albertano sono comunque dei classici gialli logico-deduttivi alla Arthur Conan Doyle o alla Agatha Christie in cui Albertano si comporta come un detective arrivando gradualmente alla risoluzione di un caso. Questo caso, ovviamente, è frutto di fantasia, ma che è ispirato da elementi storici e topografici: sono gli elementi storici e topografici, infatti, a guidare. Normalmente prima individuo la giusta ambientazione, e poi costruisco sulla base degli elementi disponibili un caso che Albertano è chiamato a risolvere.

Nell’ultimo romanzo, “Il caso del suonatore nella notte”, uno degli elementi centrali è ad esempio lo “scandalo” della corruzione e della compravendita di cariche ecclesiastiche (simonia) che coinvolse al tempo gran parte dei monasteri cluniacensi lombardi.

La vicenda si svolge nell’estate del 1248. In una notte di luna piena il mercante Rambaldo viene pugnalato a morte nella sua dimora sepolta tra i campi e i boschi di Rodengo. Da una finestra della casa di fronte, il vecchio studioso Giona assiste al delitto senza nulla poter fare per impedirlo. Di una cosa, però, il testimone è certo: l’assassino non è un uomo in carne e ossa, ma un automa, prodigioso e spietato. Cosa c’entrano gli automi con il secolo XIII?

I sospetti cadono subito su mastro Adamo, un artigiano che da tempo si dedica alla fabbricazione, appunto, di automi, sulla base degli insegnamenti contenuti nel Libro della conoscenza degli ingegnosi dispositivi meccanici dell’arabo al-Jazarī. Quello degli automi è uno degli esempi di riscoperta di cose poco o per nulla conosciute riguardanti il nostro medioevo che amo inserire nelle mie storie, e che spesso ne costituiscono anzi il fil rouge. Il riferimento è ad uno straordinario trattato di ingegneria medievale, che spiega passo passo come costruire automi dalle fattezze umane: un’opera straordinaria che ci dimostra anche come il Medioevo non sia affatto un’epoca buia ma sia al contrario un periodo di fermento in cui gettano le radici l’arte e la cultura successiva.

Un’epoca ricca di scambi culturali, anche: in questo caso il riferimento è ad un trattato di meccanica arabo, mentre in uno dei precedenti episodi, un ruolo simile era assegnato ad un poema persiano che pure ebbe ampia circolazione – durante il Medioevo – anche in Europa.

Ingegneri arabi, poemi persiani. Il Medioevo che ne emerge non è buio come ci si potrebbe aspettare.

Quello degli interscambi interculturali tra Oriente e Occidente è in effetti un tema ricorrente, e questo non per volontà di attualizzare il medioevo inserendoci temi oggi sentiti ma perché era proprio così: tra la metà del secolo XII e tutto il secolo XIII, quindi nel periodo vissuto da Albertano, gli scambi tra Oriente e Occidente sono continui e frequentissimi. Non solo buio Medioevo, quindi: molte luci si accendevano.

Lo stesso Albertano che emerge dai suoi trattati è un protagonista del suo tempo, soprattutto in ambito di etica economica, ed è un personaggio illuminato. Bisognerebbe leggerli i suoi trattati: influenzato dal nascente francescanesimo di cui è seguace, pur essendo laico, Albertano fu promotore di una visione incentrata sulla necessità di offrire a tutti la possibilità di vivere una vita migliore all’insegna della giustizia, della crescita e del progresso personale. Una visione senza dubbio più che attuale, oggetto di studio anche all’estero: peccato che a Brescia, invece, Albertano non lo conosca quasi nessuno.

Uno dei dilemmi, per chi si occupa di narrativa storica, è trovare il giusto compromesso tra la volontà di portare il lettore nell’epoca raccontata, cercando di calarsi nella mentalità dei personaggi, e la volontà di riflettere – attraverso la storia – anche sul presente. Come risolve Enrico Giustacchini questo dilemma?

Questo è senz’altro un tema immenso, che vale per il narratore ed in una certa misura anche per lo storico: è inevitabile che, nell’interpretazione, si finisca per leggere il passato in parte anche con gli occhi del presente. Mi piacerebbe che qualcosa sul presente uscisse, ma in modo leggero e naturale: non come impostazione ideologica. Il discorso sull’attenzione al dialogo con culture diverse, ad esempio, viene fuori naturalmente: pagina dopo pagina, senza forzature, senza “pistolotti”. Ma qualche riflessione, partendo dalle fonti storiche, questo lo stimola.

Lo stesso vale per la riflessione sul tema della povertà, e su come si debba stare dalla parte dei più umili: un tema sviluppato ad esempio all’interno di un dialogo in cui Albertano parla citando brani estratti dai suoi trattati e cioè senza alcuna forzatura, in maniera del tutto verosimile. Da narratore ho il dovere di far vivere i personaggi come uomini del loro tempo, non come se fossero uomini di oggi; ma se però riescono a darci qualche suggerimento valido per l’oggi, cosa che naturalmente accade, credo sia tanto di guadagnato.

D: Negli anni il Giudice Albertano si è costruito in provincia un buon seguito al punto tale che esiste addirittura un “fan club” dedicato alle gesta del detective.

Il consenso che ho riscontrato già dal primo libro è stato sorprendente, ed è stata la molla che ha spinto quello che doveva essere un romanzo singolo a diventare il primo di un ciclo ancor oggi aperto. Scrivere è un piacere ma non è un divertimento: è una fatica… sono molto pignolo e mai contento della stesura quindi rivedo parola per parola più volte prima di decidermi, esausto, a pubblicare. E’ proprio l’apprezzamento dei lettori che incontro durante le tante presentazioni, quindi, la cosa che mi convince più di tutto a rimettermi a scrivere. Anche se non me la sento, per ora, di promettere un ottavo (ride).

Una saga arrivata al settimo episodio, fatto che di per sé già testimonia i riscontri ricevuti. Qual è il “segreto” del successo di Albertano?

Sicuramente l’attenzione che Albertano ha riscosso negli anni è in parte merito anche dell’aiuto dei media, dei social, ma quello che costituisce il vero rapporto è comunque il contatto diretto, le presentazioni che faccio spessissimo (ne sono saltate una decina in questi mesi di lockdown) e che sono belle perché spesso diventano delle piccole lezioni su certi temi del medioevo bresciano che il libro è un po’ un pretesto per far conoscere. E poi, oltre alla dimensione storica, un elemento credo fondamentale è la formula del giallo: faccio tutto il possibile affinché i miei siano gialli ben strutturati, che seguono gli schemi del classico logico-deduttivo e che come tali beneficiano di una costruzione abbastanza in cui ogni tessera deve andare al posto giusto. Devi saper tenere il lettore con il fiato sospeso, dandogli la possibilità di arrivare alla soluzione sperando che non ce la faccia (pur avendo tutti gli elementi per farcela). Essendo un grande appassionato del genere, avendone studiato i meccanismi, cerco di scrivere libri che abbiano una dimensione storica ma che siano prima di tutto dei buoni gialli per appassionati del genere.

E’ gratificante quando le persone, a margine delle presentazioni, mi dicono di aver apprezzato la ricostruzione degli eventi, l’ambientazione, i riferimenti alla storia ed ai luogi; ma è forse ancora più gratificante quando i lettori mi dicono di aver cominciato il romanzo e di non essere poi più riusciti a smettere, perché curiosi di saper come la storia sarebbe andata a finire.


Autore: Enrico Giustacchini
Editore: Liberedizioni, 2020

Genere: Giallo, romanzo storico
Pagine: 168

Andrea Franzoni

Nato negli anni ’80, vive in equilibrio tra Brescia e Milano. Sociologo di formazione ed attivista per necessità, lavora in una multinazionale del marketing e della comunicazione continuando a coltivare parallelamente la sua passione per le storie ed il desiderio velleitario di contribuire a rendere la città natale un po' più aperta e consapevole. Prima di fondare "Brescia si legge", ha pubblicato un romanzo distopico (Educazione Padana, 2018) e una raccolta di racconti ('I forestieri e l'anima della città. Storie di migranti a Brescia nella seconda metà dell'800', 2019).

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