“Il boia di Brescia”: sensualità e potere nel dramma tragicomico scritto dal dadaista Hugo Ball e finalmente riscoperto e tradotto in italiano

Tutti vogliono giustiziare. Il Papa vuole giustiziare. Il re vuole giustiziare. Tutti vogliono giustiziare e tagliarsi la testa a vicenda. […] Giustiziare sembra essere un mestiere redditizio! E una procedura abbreviata. Questo lo rende consigliabile. Quando tutto fallisce, si può ancora giustiziare.

H. Ball, Il boia di Brescia, p. 84

Quando, alla fine del 1310, Enrico (o Arrigo) VII del Lussemburgo scese in Italia con l’intento di riportare sotto il suo controllo i comuni guelfi e ristabilire così l’autorità imperiale, Dante salutò la sua discesa come l’evento che avrebbe finalmente restituito la pace alla penisola, dilaniata dalle lotte fra fazioni.

Contrariamente alle aspettative di Dante, l’arrivo dell’imperatore scatenò una serie di rivolte, nonché la fiera resistenza dei comuni guelfi che, ben lontani dal sottomettersi, dovettero essere presi ad uno ad uno a forza. Brescia stessa fu cinta d’assedio nel marzo del 1311 e conquistata solo dopo una lunga lotta. Lo stesso Enrico VII, morì improvvisamente nell’agosto del 1313 dopo un’estenuante quanto inconcludente campagna che non produsse nessuno dei risultati sperati né da lui nè dai suoi sostenitori.

Alle vicende legate all’assedio di Brescia si ispira, in forma assai libera e originale, la pièce teatrale di uno dei fondatori del dadaismo, lo scrittore tedesco Hugo Ball (1886-1927), Il boia di Brescia. Commedia in tre atti tra passione ed estasi. Composta agli inizi del Novecento, la controversa pièce è un testo cupo e di non facile approccio, frutto di una travagliata elaborazione, più volte rappresentato a teatro nei paesi germanofoni ma – fino ad oggi – sostanzialmente sconosciuto in Italia. Finalmente tradotto in italiano da Lidiia Astapenko, interprete e traduttrice residente proprio a Brescia, l’opera è stata recentemente pubblicata da Fara Editore con la curatela di Francesco Ferrazzi, insegnante e scrittore, e di Lorenzo Gafforini, laureato in giurisprudenza e animatore di diversi progetti culturali.

Quando, nel marzo del 1914, vagliavo una nuova idea di teatro, era questa la mia convinzione: manca una scena per le passioni davvero sconvolgenti, un palcoscenico sperimentale, che vada oltre gli interessi quotidiani.

H. Ball, La fuga del tempo, Campanotto Editore, Udine, 2006, p.20

Hugo Ball è noto per essere considerato, insieme a Tristan Tzara, uno dei fondatori del Dadaismo, forse il movimento più irriverente, libero e distruttivo fra tutte le varie avanguardie novecentesche. Di fronte all’insensatezza della prima guerra mondiale, al disgusto verso la civiltà e i suoi (dis)valori, all’impotenza della ragione, gli artisti Dada rispondono con la lallazione infantile (dada, appunto), il gesto privo di senso, la ricerca di forme espressive radicalmente nuove e provocatorie che non siano compromesse con il mondo che essi rifiutano.

Il boia di Brescia corrisponde a un periodo della ricerca artistica di Ball in cui l’autore non era ancora approdato a Dada, ma stava sondando le possibilità espressive del teatro come forma “in grado di plasmare la nuova società”.

Inizialmente pubblicata su rivista nel 1914 (come era consuetudine all’epoca), l’opera cadde poi nell’oblio e fu pubblicata per la prima volta integralmente solo nel 1993, quando Ball era ormai morto da più di sessant’anni. L’opera fa parte di una trilogia di opere teatrali tutte ambientate in Italia, a testimonianza del suo interesse per l’Italia e la sua cultura.

Ma vi è un’altra circostanza che rende la riscoperta dell’opera anche in Italia particolarmente interessante. Hugo Ball, infatti, prese il soggetto dell’opera dal romanzo storico di Karl Hans Strobl, Il bordello di Brescia (1909), altra opera che godette al tempo di discreta popolarità ma che con il tempo è stata dimenticata per vari motivi. L’oscenità di alcuni contenuti (che suscitò all’epoca l’opposizione della censura e che coinvolse anche l’omonima pellicola cinematografica diretta da Herbert Moest nel 1920), e la vicenda personale di Strobl (autore pregevole e fantasioso, ma compromesso con il regime nazista), fecero infatti sì che la critica accantonasse il romanzo, a noi noto, oggi, soprattutto per la rielaborazione che ne fornisce Ball in questo testo finalmente a disposizione del pubblico italiano.

La vicenda è quanto mai tetra e complessa e non esente da una serie di spunti pruriginosi destinati sicuramente ad attirare, e irritare, il pubblico degli inizi del Novecento a cui Ball si rivolgeva.

Durante l’assedio di Brescia, i Bresciani sono riusciti con un’imboscata a rapire Margherita, la moglie di Enrico VII, e alcune ancelle del suo seguito. Francesco Barbiano, capitano della città, ha deciso di rinchiudere queste donne nel bordello cittadino, sorvegliato e “gestito” dal Boia, in modo che le prigioniere possano divenire oggetto di piacere per chiunque desideri approfittarne. Ma Roswitha, una delle dame della regina, ha coraggiosamente accettato di far credere di essere lei Margherita, scambiando con essa i suoi vestiti. Desiderio, odio, orgoglio, disprezzo si agitano nelle stanze del bordello, in cui il boia diviene vittima e carnefice della bella Roswitha, in un dramma carnale e spirituale che si conclude solo con l’arrivo dei nemici-liberatori delle truppe imperiali.

L’opera, si diceva, non è di semplice lettura e, con ogni probabilità, la dimensione che più le si addice è quella per cui è stata pensata: la rappresentazione scenica. Ball stesso, del resto, rispetto a Strobl, sposta l’enfasi dalla rappresentazione di una cupa vicenda medievale di guerra all’articolato dramma tragicomico, mistico e sensuale, del boia, che diviene nelle pagine dell’opera l’onnipotente reietto che tutti disprezzano e che tiene in mano le vite di tutti.  

L’operazione di traduzione e pubblicazione compiuta da Astapenko, Ferrazzi e Gafforini è indiscutibilmente coraggiosa e meritevole: l’aver ripotato all’attenzione del pubblico (fosse anche un pubblico ristretto di studiosi) un testo così ricco, ambiguo e sfaccettato, merita il dovuto riconoscimento per lo sforzo compiuto in termini di ricerca, di studio, di inquadramento storico e letterario.

A questo punto, possiamo augurarci che quest’operazione possa essere il primo passo per una riscoperta dell’opera che lasci spazio a ulteriori approfondimenti e alla possibilità, si spera non remota, di una sua messa in scena anche nei teatri italiani.


Titolo: Il boia di Brescia. Commedia in tre atti tra passione ed estasi
Autore: Hugo Ball
Editore: Fara Editore

Genere: opera teatrale
Pagine: 95
EAN: 9788892930322

Silvia Lorenzini

Bresciana, laureata in Lettere Classiche presso l'Università di Pavia. Ha trascorso anni a girovagare fra la Germania e l'Inghilterra per ragioni di studio, di lavoro e di amore. Dal 2005 insegna Italiano e Latino in uno dei licei cittadini. Appassionata di storia locale, adora la montagna, la musica, i libri e non saprebbe vivere se le mancasse anche solo una di queste tre cose.

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