Ecco come il Covid-19 ha frantumato il cuore della modernità. Intervista a Massimo Tedeschi

Intervista a cura di Andrea Franzoni per www.BresciaSiLegge.it

L’obiettivo del libro è provare a capire perché questo flagello si è abbattuto proprio sul cuore più moderno e produttivo della Lombardia, le province di Brescia e Bergamo, dove il numero di morti è paragonabile – considerando le vittime civili – a quello della Seconda Guerra Mondiale.

Massimo Tedeschi

Durante i mesi in cui il Coronavirus più si è abbattuto sulle province di Brescia e di Bergamo Massimo Tedeschi, decano del giornalismo Bresciano e non solo, ha lavorato a tempo pieno raccogliendo, approfondendo e sistematizzando tutto ciò che è stato detto e scritto in quelle giornate convulse e assurde. Il risultato di questo lavoro enorme è la base di “Il grande flagello. Covid-19 a Bergamo e Brescia” (Scholé/Morcelliana, 2020): un libro ricco di oltre 300 pagine che racconta in profondità ciò che è successo in quei giorni convulsi trasformando la cronaca in storia. 

Abbiamo intervistato Massimo Tedeschi per conoscere la genesi di questo libro, chiuso alla fine del lockdown come a voler sigillare gli eventi di quei giorni prima che il tempo e la vita riprendessero il sopravvento rischiando di corrompere la memoria. Una capsula piena di fatti e di storie in cui è già presente tutto ciò che serve per capire come è stato possibile, per il “grande flagello”, mandare in frantumi il cuore produttivo della modernità.

Massimo Tedeschi qual è stato il momento in cui, nonostante la frenesia ed il “panico” del momento che un evento come questo ha inevitabilmente suscitato in tutti noi, ha deciso di cominciare a raccogliere, selezionare e ordinare materiali per un libro?

In realtà il merito dell’idea originale del libro va al direttore editoriale della casa editrice Morcelliana Ilario Bertoletti: è stato lui, dopo i primi 10 giorni dell’epidemia, a chiamarmi e a dirmi “Massimo, dobbiamo fare qualcosa, bisogna ragionare in termini di cronaca che diventi storia perché stiamo assistendo a qualcosa che entrerà nella storia e noi dobbiamo documentarlo mentre accade, in tempo reale”.

Io c’ho pensato su qualche giorno e poi mi sono dato un’idea di lavoro, un’impostazione metodologica, che è stata quella di basarmi sulla carta stampata. Quindi, per due mesi e mezzo (andando anche a ritroso per recuperare i giorni iniziali e precedenti), ho letto ogni giorno sistematicamente Corriere della Sera (nazionale, Brescia e Bergamo), Giornale di Brescia, BresciaOggi, Eco di Bergamo che sono stati le mie fonti primarie. E poi, tutte le volte che trovato riferimenti interessanti, risalivo alla fonte: al sito istituzionale, al blog dei medici internisti, al sito dell’Ordine, a singoli profili.

Per dare un’idea, solo per la costruzione di questo “diario” si parla di 4 – 6 ore di lettura al giorno, più tutto il tempo necessario per annotare, sistematizzare. Questo lavoro è andato avanti fino al 5 maggio, quindi fino alla fine del “lockdown”. Da lì, sulla base di questo grosso lavoro di documentazione, ho poi rielaborato i materiali e costruito il libro.

Lei ha deciso di chiudere e di dare alle stampe questo libro al termine del lockdown, cioè a inizio maggio: una scelta in un certo senso “coraggiosa”, dato che la vicenda Covid è una cronaca in continuo divenire. Questa scelta può essere forse dovuta alla volontà di provare a lasciarsi il Covid “alle spalle” dichiarando un capitolo ‘chiuso’?

La fine del lockdown ha segnato il passaggio a una fase profondamente diversa, dove anche gli argomenti centrali del dibattito sono cambiati, in cui – ad esempio – ci si è concentrati molto sulle modalità della ripartenza. Diciamo che l’intenzione è stata quella di circoscrivere il racconto al momento più drammatico dell’epidemia perché lì è successo davvero qualcosa di particolare, di enorme, qualcosa di cui forse non ci siamo ancora resi conto fino in fondo.

Sono convinto che, dentro questa fotografia della fase più drammatica dell’epidemia, ci siano già tutti gli elementi di cui stiamo discutendo (e di cui continueremo a discutere per parecchio tempo). Sono dati e fatti di cui è ora la magistratura a doversi occupare: ci sarà sicuramente un enorme lavoro giudiziario su singoli casi, su problemi complessi… ma secondo me, ricostruendo la cronaca di quei giorni, emergono già tutti i grandi temi di discussione: le difficoltà del sistema sanitario, quello che non ha funzionato, la medicina territoriale, il caso delle RSA in cui è morta una generazione.

Questo libro, quindi, fotografa a caldo – con un notevole sforzo documentale – quello che è successo in quelle settimane, i grandi nodi di cui si discuterà. Chi non ha chiuso gli ospedali con i contagi ed ha abbandonato le RSA? Chi non aveva predisposto un piano di risposta aggiornato in Regione Lombardia? Sono tutti nodi già ben individuabili in quei giorni, che ora stanno solo venendo al pettine grazie al dibattito politico ed al lavoro della magistratura.

È importante avere chiaro questo punto, i fatti ed i dati, anche perché la memoria tende a sovrascriversi, a cambiare il senso degli eventi.

Come si legge nella quarta di copertina, “l’obiettivo del libro è provare a capire perché questo flagello si è abbattuto proprio sul cuore più moderno e produttivo della Lombardia, le province di Brescia e Bergamo”. È davvero possibile trovare una risposta a questa domanda, o il rischio di cadere in semplificazioni e strumentalizzazioni è troppo elevato?

Prima di tutto, voglio sottolineare come il fatto che Brescia e Bergamo siano il cuore più moderno e produttivo sia secondo me uno snodo centrale. In un capitolo metto in fila tutti i primati economici delle nostre province perché, messe insieme, Brescia e Bergamo hanno degli standard economici, dei primati economici sociali e sanitari che le rendono pari a uno stato medio-piccolo dell’UE: un territorio superiore stando a numerosi indicatori a Lettonia, Estonia, in alcuni casi anche alla Grecia. Non stiamo parlando quindi di un fatto avvenuto in “provincia”, ma di qualcosa accaduto nel cuore dell’Occidente, nel centro dell’economia capitalistica che funziona, nel cuore della modernità. Non siamo alla periferia di qualcosa, ma siamo nel cuore.

Per quanto riguarda la verità, io credo che ci arriveremo e credo che nella cronaca e negli atti di quei giorni ci siano già tutti gli elementi importanti. Io dedico ad esempio un capitolo abbastanza significativo alle contestazioni mosse in quei giorni dagli ordini medici professionali di tutta la Lombardia, non parlo quindi di un organismo politico ma di un ordine professionale, che firmano tutti insieme un documento in cui contestano la Regione e dicono punto per punto quello che non ha funzionato. Si tratta di un testo che in Cronaca dura al massimo il tempo di una giornata, ma che dice già tutto: i medici e i pediatri di base che sono stati abbandonati, le RSA che non sono state tutelate e presidiate, le eccellenze ospedaliere che non sono state capaci – nonostante tutto – di reggere ad un evento del genere, gli allarmi tardivi…

Non ho scelto un partito né ho voluto scrivere una polemica esplicita: da cronista, ho prestato attenzione ai rilievi molto specifici fatti persone, soggetti ed enti informati sui fatti. Nessuna caccia alle streghe, nessun lavoro a tesi.

Durante la pandemia tutti noi ci siamo abituati a sentire, anche da entità autorevoli, tutto e il contrario di tutto: dall’invito a riaprire le città alla necessità di chiudere tutto, dall’inutilità delle mascherina all’assoluta necessità di utilizzarle anche all’aperto, e potremmo fare innumerevoli esempi. Nelle sue ricerche è riuscito a trovare qualcosa o qualcuno che invece sia riuscito a tenere sempre la “barra dritta” o comunque a rimanere coerente?

Una delle cose che non ho fatto è stato inseguire i virologi: quel dibattito lì non l’ho seguito, non mi ci sono appassionato. Facendo un lavoro da cronista mi sono però convinto che almeno in quel periodo lì qualcuno l’avesse vista giusta, e cioè il virologo del veneto Crisanti. Ho visto che sul campo l’esperienza di questo virologo (un’esperienza tutta internazionale: era tornato per pochi mesi e si è trovato all’epicentro dell’epidemia) ha fatto applicare alcune strategie che si sono rivelate quelle giuste: proteggere gli ospedali e i medici, fare tamponi a tappeto a tutti i sintomatici, creare piccole zone rosse, chiudere temporaneamente gli ospedali con fenomeni di contagio. Una strategia che ha evidentemente dato i suoi frutti.

Covid-19 ha messo le istituzioni e la cittadinanza di fronte a una situazione inedita, obbligando ciascuno a far fronte anche in modo creativo agli eventi. Cosa l’ha stupita nel modo in cui la città ha reagito?

La cosa che mi ha stupito negativamente è il comportamento di alcune regioni, penso in particolare al Veneto, che non hanno voluto soccorrere le altre regioni ed in particolare la confinante Lombardia. Quando la Lombardia non ha più retto, ha dovuto mandare decine di pazienti in Germania e nel meridione; allo stesso tempo, il Veneto aveva il 40% dei posti in terapia intensiva liberi: eppure non ha dato aiuto. Che una regione confinante non sia solidale e non accolga i pazienti della regione vicina, lo trovo inconcepibile.

La cosa che mi ha stupito positivamente invece è il concorso di risorse private, di aziende e singoli cittadini, che hanno dato soldi alle raccolte fondi ed agli ospedali. Questa ondata di solidarietà è stata eccezionale: nel momento più difficile le risorse private sono arrivate tempestivamente e hanno risolto molti problemi. Non c’erano ventilatori e mascherine? Brescia se li è comprati. Quello che mancava, in pochi giorni o settimane è stato trovato ed il merito di questo va soprattutto alle aziende ed ai cittadini che hanno permesso di raccogliere, grazie al lavoro eccellente fatto da Fondazione Comunità Bresciana, 16-17 milioni di euro. Una cifra incredibile senza la quale le cose sarebbero andate in maniera decisamente peggiore.

Le immagini sono tratte da un foto-reportage di Nicola Zambelli: abbiamo parlato di questo lavoro, fatto nei giorni del Covid-19, qui.


Titolo: Il grande flagello. Covid-19 a Bergamo e Brescia
Autore
: Massimo Tedeschi
Editore: Scholé / Morcelliana

Genere: Saggio
Pagine: 336
Isbn: 9788828402046

Andrea Franzoni

Nato negli anni ’80, vive in equilibrio tra Brescia e Milano. Sociologo di formazione ed attivista per necessità, lavora in una multinazionale del marketing e della comunicazione continuando a coltivare parallelamente la sua passione per le storie ed il desiderio velleitario di contribuire a rendere la città natale un po' più aperta e consapevole. Prima di fondare "Brescia si legge", ha pubblicato un romanzo distopico (Educazione Padana, 2018) e una raccolta di racconti ('I forestieri e l'anima della città. Storie di migranti a Brescia nella seconda metà dell'800', 2019).

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