La storia del Primo Maggio bresciano nel saggio dello storico Diego Angelo Bertozzi

Recensione di Roberto Bonzi pubblicata sulla piattaforma Gli Stati Generali

Dal 1890 alla ricorrenza del centenario, il Primo Maggio ha vissuto mille stagioni diverse (qui una piccola bibliografia ragionata). In Socialismo pace e democrazia. Cento anni di Primo Maggio bresciano (Zambon editore, 2015 – acquista qui), Diego Angelo Bertozzi ripercorre un secolo di storia del movimento operaio attraverso il caso di Brescia: provincia con una forte vocazione produttiva dove l’industrializzazione è stata precoce e a tratti convulsa.

Un saggio ricco ed approfondito, basato su un lungo lavoro di ricerca sfociato in quasi 500 pagine di opera, che racconta di come in una terra poco vocata ai conflitti ed alle contrapposizioni nette il movimento operaio abbia saputo farsi valere incarnando aspirazioni universali.

Gli albori

A fine Ottocento, Brescia ha un tessuto industriale già forte e in crescita. Il Primo Maggio viene promosso dal Consolato operaio, seguendo la Seconda Internazionale del 1889 che aveva proclamato per l’anno successivo “la giornata internazionale dei lavoratori”. A mobilitarsi è una piccola parte dei lavoratori, soprattutto dalle grandi fabbriche della città. I cortei sono vietati. C’è spazio per comizi, momenti conviviali e scampagnate fuori porta con musica e canti.

Con rimandi molto suggestivi alle fonti dell’epoca, Bertozzi ricostruisce il clima di festa, ma anche di lotta e di speranza. Le rivendicazioni di quegli anni si focalizzano sulla riduzione dell’orario di lavoro ad otto ore giornaliere. Il Primo Maggio, però, diventa da subito un simbolo. Per molti lavoratori è soprattutto un giorno di orgoglio e speranza. L’obiettivo è quella “società di eguali” che anima i socialisti di tutto il mondo, sempre più attivi e organizzati dentro e fuori le fabbriche.

Fin dai primi anni della sua storia, anche nella Brescia di allora, il Primo Maggio diventa la cartina al tornasole dei cambiamenti in atto nel Paese. Bertozzi ripercorre la storia bresciana alla luce del contesto italiano ed internazionale. Il tema della pace, sottolineato fin dal titolo, è un elemento chiave per comprendere la storia della Festa dei lavoratori. Il ripudio della guerra è sempre stato un tratto distintivo del Primo Maggio, a partire dal 1911 con la guerra di Libia, passando per gli anni che precedono l’intervento nella prima guerra mondiale, fino ad arrivare al clima di mobilitazione contro la guerra in Vietnam.

Brescia laboratorio politico

Il Primo Maggio bresciano si richiama all’internazionalismo ma, soprattutto all’inizio, resta molto radicato nel contesto locale. Nei primi anni del nuovo secolo, ad esempio, l’Amministrazione di Brescia si regge su un’alleanza di centrosinistra tra liberali e socialisti. Se la giornata dei lavoratori delle origini ha una forte connotazione operaia, presto diventa una prova sul campo dell’alleanza tra moderati e riformisti per il governo della città. Proprio il richiamo alle origini, alla “purezza” e alle ragioni della lotta sarà una costante in tutta la storia del Primo Maggio. Nelle classi dirigenti di allora, verrà sempre stigmatizzata come festa “sovversiva”, pericolosa per la stabilità dello Stato. Attingendo alle fonti ufficiali ma anche alle prime pubblicazioni operaie e ai fogli semiclandestini, Bertozzi ricostruisce con cura il clima di tensione – più percepita che reale – che si respirava alla vigilia di ogni manifestazione, sia in città che nei paesi della provincia.

Brescia si conferma un vero e proprio laboratorio politico. Uno degli elementi più interessanti è, ad esempio, l’evolversi del rapporto tra socialisti e cattolici. Fin dai primi anni del secolo, il movimento cattolico è fortemente radicato nel territorio, soprattutto nelle campagne della Bassa e nei borghi rurali. Agli inizi del secolo, il sindacalismo di ispirazione cristiana è in forte crescita, grazie anche alla saldatura con la rete capillare delle parrocchie. Presto l’obiettivo diventa quello di contendere la bandiera del Primo Maggio ai movimenti socialisti.

Sono molte le manifestazioni promosse dalle organizzazioni cattoliche che, per numero di partecipanti, sanno reggere il confronto. Se la città resta sotto l’egida delle forze di ispirazione socialista, in provincia si afferma un Primo Maggio “cattolico” che abbandona ogni riferimento alla dimensione del conflitto: la festa di “tutti i lavoratori” celebra la collaborazione, lo sviluppo ordinato, la concordia tra le classi. Di lì a qualche decennio, tali divisioni di fondo sarebbero diventate vere e proprie fratture, segnando la storia del sindacalismo italiano.

L’avvento del fascismo

Ma è l’avvento del fascismo a stravolgere ogni prospettiva. La lotta all’idea originaria del Primo Maggio è l’altra faccia della persecuzione contro socialisti, comunisti e cattolici popolari. Sono gli anni ’20, quelli in cui il movimento fascista prepara il terreno all’imminente torsione autoritaria. Molti dirigenti sindacali, rappresentanti dei lavoratori e semplici simpatizzanti vengono minacciati e aggrediti. Numerosi attivisti sono costretti alla clandestinità. L’iscrizione al sindacato fascista diventa per molti una scelta obbligata. La provincia bresciana si rivela da subito la più permeabile al clima di intimidazione e violenza. Bertozzi ricostruisce con cura uno dei passaggi più bui del movimento sindacale italiano che, ancora una volta, sembra coincidere con quello della democrazia italiana.

Una volta arrivato al potere, il fascismo tenta di creare la propria Festa del lavoro celebrandola il 21 aprile, in ricordo della fondazione di Roma. I risultati, però, non sono quelli sperati dal regime. Nonostante il clima di paura o di acquiescenza alla dittatura, il Primo Maggio resta un simbolo che nessuna decisione calata dall’alto riesce davvero a spegnere. A Brescia, come documenta Bertozzi, resta memorabile la manifestazione del 1925 con le calzettaie, lavoratrici del tessile, che attraversano le vie del centro “sfilando con garofani rossi sul petto su Corso Zanardelli”. Interessante che, in una fase così difficile, siano proprio le donne a farsi carico dei rischi di una manifestazione che sfida pubblicamente i divieti.

Il Primo Maggio esce dalla clandestinità

Dopo il 1945, il Primo Maggio esce dalla clandestinità. La festa torna ad essere unitaria e diventa per tutti un simbolo di riscatto. Si celebra la liberazione dal regime fascista ma anche l’avvio di una fase di collaborazione tra i nascenti partiti di massa nella ricostruzione del secondo dopoguerra. 

A Brescia il Primo Maggio continua ad essere legato a doppio filo alle vicende nazionali. Accade in particolare con l’eco della strage di Portella della Ginestra del 1 maggio 1947, anno che a Brescia è ricordato anche per una seconda tragedia. Nella notte tra il 30 aprile e 1 maggio, infatti, lo scoppio di un ordigno gettato per errore in una fusoliera provoca la morte di cinque operai della Metallurgica Brescia. I festeggiamenti del Primo Maggio vengono sospesi per “stringersi in solidarietà fraterna con i famigliari dei caduti”. In ogni snodo critico della storia del Paese, la Festa dei lavoratori si carica di forti significati simbolici, andando al di là delle rivendicazioni sindacali.

Negli anni Cinquanta, il Primo Maggio è influenzato anche a Brescia dal nuovo quadro politico. Termina l’alleanza tra i tre partiti di massa e De Gasperi avvia la nuova fase di governi centristi, con l’appoggio della destra parlamentare. La rottura dell’alleanza post-bellica investe anche il fronte sindacale. La Festa dei lavoratori è sempre di più un terreno in cui misurare i rapporti di forza interni. Anche a Brescia, nelle elezioni per le Commissioni nelle principali fabbriche della città, si acuisce lo scontro tra cattolici, comunisti e socialisti. Il 4 maggio 1955, durante una manifestazione rinviata per lasciare spazio alla MilleMiglia, il segretario della CGIL Giuseppe Di Vittorio, intervenendo in Piazza della Loggia, parla di “fascismo di fabbrica”.

La stagione dell’unità sindacale

Gli anni Sessanta e Settanta cambiano invece di segno, con la stagione dell’unità sindacale. La capacità negoziale dei sindacati cresce di pari passo con il loro peso specifico nella società. Il punto più alto coincide senza dubbio con la promulgazione dello Statuto dei lavoratori del 1970. A far da contraltare, la recrudescenza del terrorismo. La strategia della tensione ha nella strage di Piazza della Loggia del 28 maggio 1974 uno degli episodi più tragici e oscuri. Al momento della deflagrazione, a parlare dal palco c’era Franco Castrezzati, segretario provinciale delle Fim-Cisl. A Brescia il corteo del Primo Maggio 1975, trentennale della Liberazione, “si ferma in segno di omaggio di fronte al luogo dell’esplosione delle bomba”.

Il 1980 è una data spartiacque. È la cosiddetta ‘marcia dei quarantamila’ a segnare “un prima e un dopo”, ricorda Bertozzi. Il 14 ottobre la manifestazione di quadri e capi-operai Fiat per le strade di Torino, a cui seguirà il referendum sulla scala mobile, rimarca un’inversione dei rapporti di forza nella società italiana. Negli anni successivi, il Primo Maggio si trasforma “in un’occasione di riflessione, anche sulla propria natura”, alla ricerca costante di un’identità che, a tratti, sembra irrimediabilmente perduta. Quelli che portano al centenario sono anni difficili. I sindacati rinnovano i richiami alla pace, all’ambientalismo, alla solidarietà con i Paesi in via di sviluppo, alla lotta al razzismo. Il simbolo di questa nuova fase è il Concertone promosso dai Sindacati confederali, una sorta di grande rito laico che sembra circoscrivere le contrapposizioni di un tempo ai proclami dal palco.

Una forza preziosa

Cosa resta, dunque, del Primo Maggio che fu? E soprattutto che futuro ha la Festa dei lavoratori?

Il saggio di Diego Angelo Bertozzi è un utilissimo punto di partenza e interroga inevitabilmente sul futuro. Il caso di Brescia ha molto da insegnare perché, in una terra poco vocata ai conflitti e alle contrapposizioni nette, il movimento operaio ha saputo incarnare aspirazioni universali, sottraendole ad una marginalità a cui nessun altro sembrava opporsi.

Nel lavoro di Diego Angelo Bertozzi, il Primo Maggio appare come fenomeno carsico che ha attraversato la Storia alternando fasi di scavo ad altre di riaffioramento. La costante è stata la capacità di intercettare bisogni di fondo e la forza di farli emergere nella loro urgenza, creando le condizioni per un cambiamento reale. In un’epoca di diritti precari, nuove povertà e sistemi di sfruttamento fuori controllo, conviene davvero sconnettersi dalle istanze degli ultimi? In queste ragioni “di fondo”, anche in un Secolo che sembra lontano anni luce da quello appena concluso, a prescindere dalle idee di ciascuno di noi, la forza del Primo Maggio resta intatta e preziosa.


Titolo: Socialismo, pace e democrazia. Cento anni di Primo Maggio bresciano
Autore: Diego Angelo Bertozzi
Editore: Zambon, 2015

Genere: Saggio storico
Pagine: 460
Isbn: 9788898582235

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Roberto Bonzi

Nasce nel 1978 a Nuvolento. Fin da piccolo, ama la scuola alla follia: trascorre metà della giornata a leggere e scrivere, l'altra a convincere i compagni di non essere un secchione. Dopo la laurea in "Discipline economiche e sociali" all'Università Bocconi, inizia ad occuparsi di comunicazione, di fiere e di congressi. Nel frattempo, dopo una parentesi come vicesindaco e assessore all’istruzione e cultura del suo paese natale, continua a leggere e scrivere (Come lontano da Irene, 2010; Remigio ovvero come ho imparato a non preoccuparmi e ad amare la matematica, 2015; Centro Fiera del Garda. Nascita e sviluppo di un polo fieristico per la Lombardia orientale, 2017) e a spiegare in giro cosa non è.

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