“L’ultimo inverno del Novecento” si dissolve in una primavera tutta al femminile nel romanzo d’esordio di Giacomo Scanzi

Sono stata amata, mi basta.

Giacomo Scanzi, L’ultimo inverno del Novecento, pag. 187

“L’ultimo inverno del Novecento” (Marcinium Press, 2025), romanzo d’esordio del giornalista (già direttore del Giornale di Brescia) e docente universitario dall’articolata biografia Giacomo Scanzi, è una storia d’incontri e d’intrecci tra parole dette e taciute che porta all’orecchio il fraseggio di una canzone degli anni Ottanta: “e ognuno lascia un segno nelle persone più sensibili, e il fiume cambia il legno mentre lo trasporta via”.

Un romanzo d’ambientazione francese che parla di inquietudine, di rinascita e di femminilità, in cui non mancano i riferimenti alla grande letteratura del secolo scorso – su tutti a André Gide – che racconta una storia semplice adottando però uno stile ricercato e fuori tempo, ma proprio per questo sorprendente e godibile.

“L’ultimo inverno del Novecento” si apre con un prologo in cui l’autore – prima di farsi voce narrante sommessa, delicata e sensibile al dettaglio, di una storia struggente che omaggia la femminilità, il garbo, la maternità – entra brevemente in scena in prima persona anticipando quello che è uno dei temi del romanzo, l’inquietudine impalpabile ma urticante che spinge all’azione, al moto, al viaggio.

L’approdo del viaggio raccontato da Scanzi è tutto francese, in quel sud tra Occitania e Camargue, in cui il paesaggio antropico e l’ambiente naturale si sono alleati e fusi sin dai tempi di Carlo Magno, producendo panorami pacifici e radiosi, al limite del mistico. Proprio qui, tra le pietre squadrate di Aigues Mortes, lungo la spaziosa navata di Notre Dame des Sablons, si ritrovano, in tempi diversi, l’autore-narratore e il suo personaggio, Magda, accomunati da una curiosità rispettosa e da una necessità impellente, ma ancora indefinita: quella di rinascere, o meglio di “partorirsi”, lontano dal proprio nido e dalla propria quotidianità.

Poi un giorno, improvvisamente smisi di sognare e si insinuò in me una strana determinazione. Lì per lì nulla di decisivo. Si trattò di una sensazione. Il sogno si stava trasformando in desiderio. Talvolta ne sentivo paura. Altre volte mi prendeva una leggera euforia.

Giacomo Scanzi, L’ultimo inverno del Novecento, pag. 27

Il romanzo orchestrato da Scanzi ruota attorno ad un cast di intensi e complessi personaggi femminili. 

Protagonista indiscussa del romanzo, nonché colei che dona la sua storia al narratore Scanzi, è Magda, che lascia il suo mondo piccolo di figlia e di ragazza di buona famiglia, intriso di buone maniere e di ancor più buoni propositi, per recarsi nel sud della Francia sulle tracce del romanzo a cui ha dedicato la sua tesi di laurea in letteratura, scritto nel 1947 dal premio Nobel per la letteratura André Gide. Ma ancor prima sempre donna è stata la levatrice di questo cambiamento, cioè colei che – dopo aver visto dal bancone del suo minimarket crescere Magda e le sue inquietudini – spinge la giovane a lasciare la sua cameretta di via Ippolito Nievo 42 a Trieste:

Oh Magda, vai, vai, da’ retta a questa povera vecchia che non è mai uscita dal suo guscio e ha sempre rimandato.

Giacomo Scanzi, L’ultimo inverno del Novecento, pag. 29

Giunta nel Sud della Francia, Magda viene poi accolta da un’altra donna, Veronique, l’affittacamere del Constance che, con leggerezza, muta la conoscenza in amicizia, in un crescendo così spontaneo da elevarsi rapidamente a sorellanza. 

La donna decisiva e fatale, la madre che Magda stava inconsapevolmente cercando da sempre, nei suoi studi letterari e nei suoi sogni di evasione, è però Madame: l’anziana proprietaria del negozietto di souvenirs, con i suoi originali quadretti di cocci di Limoges, che la ispira fin dal primo incontro.

Capii, all’improvviso, quanto anche il mio atlante delle elementari, con le sue carte colorate, i nomi delle città, le vie percorribili per una fuga, in realtà raffigurasse la mappa di una possibilità. Ogni anima – pensai – è una possibilità, ogni possibilità è un lieve soffio dello spirito.

Giacomo Scanzi, L’ultimo inverno del Novecento, pag. 64

Ciò che unisce Magda e Madame è un legame di carta che le precede e le attraversa: un volume pubblicato nel 1909 da André Gide il cui titolo, “La porta stretta”, fa riferimento al versetto evangelico di Luca 13,24 “Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno”

In Gide, la strettoia è il paradigma della tragica assurdità della vicenda sentimentale dei cugini Alissa e Jérôme, stritolata da una pratica esasperata e sorda della virtù. Nel romanzo di Scanzi, la porta stretta è un passaggio arduo che apre l’orizzonte su un altrove ignoto che si fa via via più prossimo, man mano che – passo dopo passo – se ne colgono senso e significato. 

È il primo movimento lo sforzo dirimente: l’uscita dall’impasse, l’abbandono di un certo immobilismo e delle scarne ma comode certezze. Una volta fatto questo, come sembra raccontare anche la storia narrata da Scanzi, non resta altro che percorrere passo dopo passo un cammino che, nell’incontro con l’altro, si fa percorso che alimenta una sempre più sottile consapevolezza. 

Il ricordo delle lontane parole della professoressa Modiano suggerisce a Magda la chiave di lettura del suo nuovo avanzare:

Dovete trovare il vostro qualcosa – aveva detto – questo è il senso della vita. E allora quel qualcosa sarà un tutto.

Giacomo Scanzi, L’ultimo inverno del Novecento, pag. 105


Titolo: L’ultimo inverno del Novecento
Autore: Giacomo Scanzi
Editore: Marcianum Press, 2025

Genere: romanzo
Pagine: 200
ISBN: 9791256270798

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