“Ogni casa senza libro è come una spelonca”: la Fiera del Libro di Brescia istituita durante il regime fascista nel nuovo saggio di Elena Pala

Quanti tra di noi, passeggiando tra gli stand e i firmacopie di una qualsiasi fiera del libro, non esiterebbero a definire l’atmosfera che vi si respira tipica di una società aperta, democratica, plurale e “civile”? Quanti tra di noi sono senz’altro convinti che la cultura, la letteratura e i libri siano incompatibili con il totalitarismo, con l’intolleranza, con l’oscurantismo e con il culto della sopraffazione, e che anzi la promozione della lettura sia di per sé un antidoto efficace contro questo tipo di derive?

A smentire queste pie illusioni, ecco intervenire nel dibattito il nuovo saggio di Elena Pala promosso dal Centro Studi RSI di Salò ed edito dalla Compagnia della Stampa (2023) dal titolo evocativo: “Ogni casa senza libro è come una spelonca. 1927-1937. La Festa Nazionale del Libro. Il caso di Brescia”. Un libretto di pregevole fattura, arricchito da immagini e riproduzioni di poster d’epoca, in cui la nota ricercatrice bresciana racconta la genesi e lo svolgimento di una delle prime grandi manifestazioni dedicata alla promozione della lettura: la Festa Nazionale del Libro, istituita nel 1927 e proseguita per un decennio sotto gli auspici e con il sostegno del regime fascista, che anche a Brescia riscosse una straordinaria partecipazione.

Un caso di studio interessante e poco noto che invita, guardando anche al presente, a non dar nulla per scontato impegnandosi a interrogarsi sulla finalità delle cose e a indagare con attenzione anche e soprattutto tra le pieghe dei programmi culturali per accertarsi che libri e cultura continuino a essere anche carburante al servizio del pensiero critico, del bene comune e dell’impegno civile, e non solo una fonte di distrazione, un’occasione per sterili esibizioni manieristiche o – ancor peggio – uno strumento di indottrinamento.

Mussolini è tra i primi politici del Novecento a nutrire la convinzione che una dittatura nell’epoca della società di massa si costruisca non solo col potere repressivo, ma anche – e forse soprattutto – con quello ideologico trasfuso in riti politici e in tutte le “manifestazioni organizzate della vita collettiva: dalle sagre popolari, allo sport, e alle mostre”. Il fascismo permea di simbolismo politico le fiere tradizionali e ne condiziona di nuove. E’ il caso della manifestazione dedicata al libro, individuato come lo strumento indispensabile per realizzare “la grande idea del rinnovamento morale e intellettuale del popolo italiano” dal duce intensamente voluto.

‘Ogni casa senza libro è come una spelonca’, Elena Pala (p.22)

L’idea di dedicare una giornata di rilievo nazionale al libro risale al 1926: è la rivista milanese “La Fiera Letteraria”, in quell’anno, a chiamare per la prima volta a raccolta “editori e scrittori” invitandoli a realizzare iniziative comuni nel solco di una auspicata “Battaglia del libro”, slogan di mussoliniana memoria che rieccheggia la più nota “Battaglia del grano”, a sostegno del libro italiano. Se nel 1926 l’iniziativa non decolla, nonostante la costituzione di un primo comitato con ramificazioni in decine di città italiane, l’idea alla base non tramonta ma trova anzi forza pochi mesi dopo, in occasione del congresso dell’Associazione editoriale libraria italiana (Aeli) che sposa senza esitazione l’iniziativa garantendogli la potenza di fuoco di quella che era all’epoca una delle più importanti e strategiche filiere industriali dell’intrattenimento.

Nasce così, nel 1927, la Fiera Nazionale del Libro: promossa dalla rivista “La Fiera Letteraria” e da decine di comitati locali (aderiranno alla prima edizione ben 60 città in tutta Italia), con il supporto degli editori e dell’establishment già abbondantemente fascistizzato, si propone di far uscire i libri dalle librerie mettendoli a contatto diretto con il pubblico, intercettando i flussi del passeggio, facendo addirittura incontrare scrittori e lettori e creando occasioni di aggregazione ludica, dalla pesca di libri usati donati dai cittadini ai concerti delle numerose bande cittadine, realizzando una vera e propria fiera popolare con protagonista la merce “libro”. Un festival nato sotto l’ala protettrice del regime e perfettamente inserita nello spirito del tempo, come mostra la locandina pubblicitaria dell’evento su cui campeggia un fascio littorio circondato (“adorato”) da tre libri aperti.

Il manifesto pubblicitario della prima edizione, opera di Diego Santambrogio (fonte: catalogo generale dei Beni Culturali)

Anche Brescia, come si diceva, aderisce con entusiasmo all’iniziativa. Il comitato locale è animato da politici (naturalmente vicini al Partito Nazionale Fascista), da librai e cartolai, da tipografi e editori, oltre che da dotti e da appassionati di lettura. La prima edizione si tiene, in linea con il calendario nazionale, nel maggio del 1927, e la location prescelta è il cortile del Broletto che viene diviso tra i principali editori locali, da Morcelliana a Apollonio passando per Vannini, La Scuola e Queriniana, con un’area centrale assegnata ai banchetti addobbati di una trentina di venditori ambulanti e con un posto di rilievo assegnato all’enorme banco dedicato alla pesca di libri usati, donati dalla cittadinanza e raccolti da volontari nei giorni precedenti, sorvegliato per 12 ore “da dame e signorine” esponenti dell’alta società dell’epoca.

La prima edizione della Fiera è ritenuta già un enorme successo: solo a Brescia vengono smerciati 15.000 volumi che vanno a riempire e a “nobilitare” le case dei bresciani e che garantiscono una bella boccata d’ossigeno a un’industria in espansione ma già alle prese con alcuni competitor di rilievo, non ultimo il cinematografo. Un successo che si conferma anche negli anni successivi, e che viene suggellato dall’ingresso di espositori nazionali e dall’arrivo, a Brescia, della “carovana degli scrittori”: un manipolo di autori di bestseller spediti a Brescia da Milano, che partecipano alla tappa bresciana proponendo interminabili sessioni di firmacopie.

Per sostenere e alimentare questa crescita, la Fiera viene quindi negli anni successivi spostata prima sotto i portici di Piazzale Arnaldo e nelle immediate vicinanze (luogo d’elezione, al tempo, per le passeggiate domenicali, e per questo preferito al più laterale Broletto) e infine – dopo la costruzione e l’inaugurazione della stessa – sotto i portici che circondano Piazza Vittoria, palcoscenico prediletto del regime, abbracciandola completamente. Nel 1934, penultimo anno e culmine della manifestazione, i volumi venduti saranno addirittura – in un sol giorno – 65.000.

Annota lo scrittore e giornalista Gherardo Ugolini nel 1935: “L’idea iniziale era buona. Il motto era libro e moschetto, cioè il libro per tutti i compbattenti d’Italia che sono un popolo, ma non si pensava che poi il popolo, peregrinante tra i chioschi, finisse per ridursi ad acquistare prima di rincasare ‘La signora delle camelie’ di Alexandre Dumas o ‘Il padrone delle ferriere’ di Georges Ohnet”. Evidentemente il lettore ne ha abbastannza di indottrinamento fascista. Preferisce coltivare i suoi interessi che non vuole siano conculcati dal regime.

‘Ogni casa senza libro è come una spelonca’, Elena Pala (pp.103-104)

Nata sotto gli auspici di una popolare e capillare rivista letteraria, la Fiera (che diviene in un secondo tempo “Festa”) riscosse nelle prime edizioni un enorme successo per diversi motivi: da un lato l’evoluzione del costume e l’alfabetizzazione di nuove fasce di popolazione resero la lettura un passatempo straordinariamente popolare; dall’altro la potenza di fuoco di editori e librai, esponenti di un settore economico al tempo rilevante, unita al favore concesso dalle autorità che presero di anno in anno sempre più spazio all’interno della manifestazione, trasformandola nell’ennesima cassa di risonanza del regime, permisero all’iniziativa di crescere nei primi anni in maniera esponenziale.

Evidentemente non mancarono tuttavia le criticità, cui il saggio di Elena Pala (che per le ricostruzioni non può far altro che utlizzare in gran parte la stampa di regime, e cioè l’unico quotidiano locale sopravvissuto ai raid squadristi e poi alle purghe fasciste, non certo una voce critica) allude appena. Se da un lato solo alcuni dei propositi iniziali si tramutarono in realtà (in vetta alle classifiche continuarono ad esempio a rimanere classici della narrativa europea, ma anche libri scolastici o per ragazzi, a discapito dei libri più esplicitamente propagandistici o di quelli scritti da autori italiani), dall’altro il regime divenne nel corso degli anni sempre più oppressivo aggiungendo limiti crescenti alla libertà di espressione e di pubblicazione, promuovendo una censura (e un’autocensura) sempre più pervasiva e probabilmente, in definitiva, guastando quel clima spensierato che aveva fatto la fortuna delle prime edizioni.

Il 3 aprile 1934, una circolare di Mussolini impone l’invio – prima di ogni pubblicazione – di 3 copie alla prefettura. Nel 1935, il controllo preventivo e la censura vengono delegati al ministero della Stampa e della Propaganda, poi divenuto ministero della Cultura Popolare. L’apparente polifonia e il caos relativo delle prime edizioni perde sempre più terreno, a vantaggio del controllo ossessivo e di una visione sempre più cupa e paranoica che guarda con sospetto ogni forma di aggregazione e di espressione gioiosa. Il 1935 si celebra, forse non a caso, anche l’ultima edizione bresciana della “Festa” che sopravviverà altrove fino al 1937, prima di essere completamente smembrata e inglobata all’interno della macchina propagandistica di un regime ormai definitivamente sprofondato nella spirale totalitaria.


Titolo: Ogni casa senza libro è come una spelonca. 1927-1937. La Festa Nazionale del Libro. Il caso di Brescia
Autore: Elena Pala
Editore: Compagnia della Stampa

Genere: Saggio
Pagine: 112
ISBN: 9788884869579

Andrea Franzoni

Nato negli anni ’80, vive in equilibrio tra Brescia e Milano. Sociologo di formazione ed attivista per necessità, lavora in una multinazionale del marketing e della comunicazione continuando a coltivare parallelamente la sua passione per le storie ed il desiderio velleitario di contribuire a rendere la città natale un po' più aperta e consapevole. Prima di fondare "Brescia si legge", ha pubblicato un romanzo distopico (Educazione Padana, 2018) e una raccolta di racconti ('I forestieri e l'anima della città. Storie di migranti a Brescia nella seconda metà dell'800', 2019).

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