“Fascisti 70”: cinque ritratti di estremisti neri per uno sconvolgente viaggio nella Brescia e nell’Italia degli anni di piombo

Recensione di Francesca Scotti per Brescia si legge

“Raccontare Caino” è sempre un percorso carico di rischi, ostacoli, fatica.
Perché addentrarsi in questa selva? Perché ciò che mi spaventa mi attrae e ciò che mi attrae mi induce alla ricerca. Il concetto di violenza, declinato nelle sue molteplici varianti, produce in me una reazione di attivazione. Sento la necessità di avvicinarmi per indagarla, capirne le dinamiche, tracciarne profili, narrarla per trovare spazi di discussione.
Da qui il bisogno di entrare nelle vite degli altri per esorcizzare, attraverso il processo catartico di narrazione, le mie paure.

Paola Castriota, “Fascisti 70. Storie di vite estreme”, p. 9 (introduzione)

Silvio Ferrari, giovane bresciano irrequieto che crede nella necessità del conflitto violento. Ermanno Buzzi, istrionico capeggiatore della malavita bresciana, condannato nella prima istruttoria per la strage di piazza Loggia. Giancarlo Esposti, guerriero nero degli ambienti milanesi in simbiosi con il fratello d’elezione Gianni Nardi, che come lui sogna il golpe e il regime militare in Italia. Pierluigi Pagliai, viso d’angelo e anima d’acciaio, delfino del pluriricercato terrorista Stefano Delle Chiaie nella Bolivia del dittatore Garcia Meza Tejada.

Cinque figure, di cui due bresciane per origine e per campo d’azione, accomunate da una morte violenta, ma soprattutto legate tra loro da un filo nerissimo, di piombo e di sangue, che ha la sua radice nel composito e raggelante panorama dell’estremismo e del terrorismo neofascista degli anni settanta. Cinque esistenze al limite che la giornalista bresciana classe ’81 Paola Castriota ricostruisce nel libro “Fascisti 70. Storie di vite estreme”, edito da LiberEdizioni nel 2022 con prefazione di Carlo Simoni (acquista qui).

Un vero e proprio tuffo a capofitto nell’Italia degli anni di piombo e della strategia della tensione, uno sconvolgente viaggio negli ambienti dell’estremismo neofascista tra Brescia, Milano, altre città del centro-nord Italia e l’estero. Unendo scrittura giornalistica e prosa narrativa, il volume offre molteplici spunti di riflessione e ci ricorda che conoscere non è giustificare né mitizzare, ma ricercare la verità in tutte le sue sfaccettature, pure in quelle più sgradevoli e respingenti.

Laureata in giurisprudenza, Paola Castriota ha firmato la regia di “Nero piombo, storia di una strage politica”, un documentario sulla strage di piazza Loggia e sul relativo processo durato oltre quarant’anni. Proprio dall’hard disk frutto del processo, contenente circa un milione di documenti di varia natura e quindi tutto quanto possibile in tema di eversione nera negli anni tra il ’69 e il ’74, ha attinto innumerevoli informazioni per realizzare al meglio un libro di profondo interesse.

I neofascisti degli anni 70: anticonformismo, odio, eversione

Tra la fine degli anni sessanta e l’inizio dei settanta, dopo il boom economico e lo zelo infuso nella ricostruzione del paese, in Italia sembra essere di nuovo calata una cortina di oscurità. Si assiste a uno scenario fortemente preoccupante, fatto di attentati, rapine, sequestri, bande armate, banditi e terroristi in cerca di liquidità per preparare la guerra allo stato.

In un panorama tanto incandescente, occupano un posto di rilievo gli estremisti neri, affiliati a svariati movimenti sociopolitici talvolta in contraddizione fra loro ma accomunati dalla matrice neofascista, da un feroce anticomunismo, da un’inesauribile vena razzista e dalla scelta della violenza come unico metodo per stabilire un nuovo corso politico che porti alla soppressione della democrazia.

Come raccontano le storie selezionate dalla Castriota, in particolare quelle dei quattro estremisti più giovani – Silvio Ferrari, Giancarlo Esposti, Gianni Nardi e Pierluigi Pagliai -, una simile ideologia violenta trova molto spesso fertile terreno in una gioventù agitata da forti contrasti interiori e che trova sfogo soltanto nella ricerca del rischio e del conflitto. Nondimeno, i giovani neofascisti sono animati da un forte anticonformismo che nasce da una cocente avversione nei confronti sia della borghesia che di quella che essi identificano come la «moltitudine dei rossi», ossia la parte della popolazione composta da operai e militanti di sinistra. Ai loro occhi, entrambe le categorie sono irrimediabilmente contaminate da una natura corrotta e miserabile, dalla quale vogliono a tutti i costi distinguersi per non perdersi in un marasma di tute blu che timbrano il cartellino con le dite macchiate d’olio e di colletti bianchi che fumano sigarette borghesi.

Guardando a Pinochet in Cile e ai colonnelli in Grecia, i giovani neofascisti degli anni settanta perseguono a loro volta la lotta politica, quella armata e che non concede pietà, nell’intento di destabilizzare lo stato e, di conseguenza, creare le condizioni per un golpe e per l’instaurazione di una nuova classe dirigente militarista. Contribuiscono così a creare il caos, con azioni precise e dirompenti, calando l’estetica dei guerrieri neri con giubbotto di pelle e Ray-Ban scuri in stile aviatore nell’assidua ricerca di violenza, adeguando la teoria del superuomo nietzschiano ai feroci obiettivi di una destra estrema la cui ideologia si ispira al fascismo reinterpretandolo nella società del tempo.

Silvio Ferrari: inquietudini e bombe a Brescia prima della strage di piazza Loggia

L’unico progetto di vita che riesce a mettere ordine nel caos che ha dentro è seguire chi dice di creare il caos fuori. Una parte di lui sogna inconfessabilmente di portare a Brescia lo stesso livello di tensione sociale che bagna di sangue le strade di Milano.

Paola Castriota, “Fascisti 70. Storie di vite estreme”, p. 17

Ad aprire il libro è il capitolo dedicato a Silvio Ferrari (1953 – 1974), il giovane neofascista bresciano saltato in aria a cavallo di una Vespa poco dopo le tre di notte del 19 maggio 1974 nelle immeditate vicinanze di piazza del Mercato. A causare l’esplosione che l’ha dilaniato è stata la bomba che trasportava sul pianale della Vespa e che, forse, era destinata alla sede locale della Cisl. Accanto a lui sono state rinvenute cinque copie quasi bruciate di un numero di «Anno Zero», rivista ufficiale del movimento neofascista Ordine Nuovo. Siamo a poco più di una settimana dalla strage neofascista di piazza Loggia del 28 maggio 1974. La morte di Ferrari viene archiviata perché ricondotta alla «imperizia» del giovane nel trasportare un ordigno per un attentato che non ha avuto luogo.

Ferrari è entrato in contatto col neofascismo al collegio sant’Orsola di Salò, dove ha conosciuto gli esponenti dell’estrema destra milanese Pierluigi Pagliai e Marco De Amici. Lui e Pagliai hanno poi frequentato l’università a Parma. Ferrari si è inoltre spesso recato a Milano per frequentare il circolo di Giancarlo Rognoni, militante di estrema destra e fondatore del gruppo La Fenice, nonché editore dell’omonima pubblicazione. A tali figure, il bresciano ha guardato con spirito di emulazione.

I milanesi sono tosti: hanno già messo la firma su una serie di attentati assurti agli onori della cronaca sulle prime pagine dei quotidiani nazionali.

Paola Castriota, “Fascisti 70. Storie di vite estreme”, p. 15

Il giorno dei funerali di Ferrari, al «Giornale di Brescia» perviene una lettera firmata “Partito Nazionale Fascista – Brixien Gau (sezione di Brescia) – Silvio Ferrari”, che il prefetto di Brescia sceglie di non rendere nota. Il 27 maggio, la stampa bresciana riceve un’ulteriore lettera a nome “Ordine Nero – Gruppo Anno Zero – Brixien Gau“. Esattamente come la prima, minaccia nuovi attentati.

Attraverso Silvio Ferrari, l’autrice ha modo di illustrare le svariate azioni di matrice neofascista che sconvolgono Brescia a partire dal gennaio del 1974 e prima della strage del 28 maggio. Si tratta di atti intimidatori e violenti, di attentati mancati al pari di quello di Ferrari oppure di bombe o proiettili che danneggiano edifici simbolici come le sedi dei sindacati. Episodi, questi, in nessun modo minimizzabili né trascurabili, poiché sono proprio ciò che ha portato gran parte della cittadinanza di ideali antifascisti a riunirsi in piazza Loggia il fatidico 28 maggio, per protestare contro la violenza nera. Nel racconto dell’autrice sono portati in primo piano sia il substrato sociopolitico della Brescia degli anni settanta che i molteplici legami tra la città e il neofascismo del nord d’Italia, radicato specialmente a Milano e nel Triveneto.

Ermanno Buzzi: il giocatore d’azzardo del neofascismo bresciano

Se c’è una cosa che piace da matti a Ermanno Buzzi è giocare. Con i vestiti, con i trucchi, con le carte, con le persone. Lo fa da sempre. È la cosa che gli riesce meglio in assoluto. Ermanno Buzzi è un istrione, sì, stravagante, mellifluo, inafferrabile. Tra le sue specialità vi sono i reati di falsa identità e ricettazione di oggetti sacri rubati nelle chiese.

Paola Castriota, “Fascisti 70. Storie di vite estreme”, p. 108

Nel 1979, la prima istruttoria della magistratura nel processo per la strage di piazza Loggia porta alla condanna di alcuni esponenti dell’estrema destra bresciana, fra cui spicca il quarantenne Ermanno Buzzi (1939-1982), trafficante d’opere d’arte e piccolo criminale locale. Riconosciuto solo dal 1984 come parte di una strategia più ampia, in una prima fase l’attentato di piazza Loggia è infatti presentato in sede di indagini come una vicenda locale, attribuita a un manipolo di piccoli criminali e neofascisti del bresciano, alcuni dei quali mentalmente fragili o instabili, facenti capo al megalomane Buzzi e attivi esclusivamente a livello locale, senza complici né mandanti.

Catturato nell’ambito del primo ciclo di indagini, mentre si trova nel carcere di Novara in attesa d’appello, Ermanno Buzzi muore strangolato dai neofascisti Pierluigi Concutelli e Mario Tuti nel 1982. Nel giudizio di secondo grado dello stesso anno, dell’impianto accusatorio della prima istruttoria non resta più nulla. Tutti gli imputati sono infatti rilasciati per non aver commesso il fatto e Buzzi è definito «un cadavere da assolvere».

Tuttavia, fra le carte di Buzzi si trovano appunti riguardanti incontri con diversi esponenti di rilievo dell’eversione neofascista. Uno di essi è Carlo Maria Maggi, il referente di Ordine Nuovo nel Triveneto e proprio colui che, nel 2017, viene condannato con sentenza definitiva come mandante della strage di piazza Loggia. Inoltre, a quanto emerge da documenti e ricerche, sarebbero attribuibili a Buzzi le lettere del 21 e del 27 maggio 1974 in cui sono state annunciate ritorsioni per la morte di Silvio Ferrari.

Il ritratto di Buzzi realizzato dalla Castriota, in sinergia con quello di Ferrari, è un’occasione ben sfruttata che fa emergere, in modo duro e necessario, tutti i punti oscuri, gli intoppi e le assurdità del lungo e faticoso processo giudiziario della strage di piazza Loggia.

In “Fascisti 70”, l’attentato neofascista di Brescia è dunque pienamente collocato nel posto che gli spetta, ovvero all’interno del più ampio quadro nazionale degli anni di piombo e della strategia della tensione.

Giancarlo Esposti, Gianni Nardi e Pierluigi Pagliai: nel segno della violenza

Esplorando i casi non bresciani, incontriamo dapprima Giancarlo Esposti (1949 –1974), un estremista che vive secondo il modello per cui «un guerriero nero deve pensare solo a una cosa: combattere e annientare il nemico rosso (p. 32)». Più volte arrestato e incarcerato per azioni dinamitarde organizzate dalle S.A.M. (Squadre di Azione Mussolini), si dà alla latitanza il 12 maggio 1974, acquartierandosi con altri quattro camerati all’altopiano di Rascino, dove allestisce un vero e proprio campo di addestramento all’uso delle armi. Muore due giorni dopo, nel corso di una sparatoria seguita a un’incursione dei carabinieri. Stando alle testimonianze dei complici, a lui sopravvissuti, stava pianificando di assassinare il presidente della Repubblica durante la parata del 2 giugno, in collegamento con un piano di golpe.

A Esposti è legato quello che lui considerava suo fratello di sangue, ovvero Giovanni Nardi, detto Gianni (1946 – 1976). Soprannominato Herr Eisernhertz, che in tedesco significa signor Cuore di Ferro, è un terrorista nero nativo di Ascoli Piceno, membro delle S.A.M. e più volte arrestato per traffico d’armi tra l’Italia e l’estero. Trasferitosi in Spagna in cerca di rifugio all’ombra del regime di Franco, muore in un incidente d’auto sull’isola di Maiorca, portando a compimento lo schema esistenziale a cui si è sempre attenuto: «alla fine tutto quello che Nardi voleva era buttarsi nelle cose e uscirne con i polsi tremanti, le tempie martellanti e il sapore metallico in gola. Una dimensione esistenziale in cui il confine tra piacere e dolore non era sottile: era fatalmente intrecciato (p. 87)».

Chiude la serie di ritratti neri il milanese Pierluigi Pagliai (1954 – 1982), detto baby face o puttino in virtù dei suoi lineamenti delicati. «È un ragazzo moro, con gli occhi grandi, ben pettinato e dal viso pulito. […] Ma c’è qualcosa di nascosto ed estremamente conflittuale nel suo essere. Il suo sguardo è pervaso da una dolcezza che dissimula in modo sconcertante la ricerca di violenza che si porta dentro (p. 130)». Fortemente nazional-militarista e attivo nel gruppo neofascista La Fenice, si distingue in numerose spedizioni punitive contro i comunisti, in special modo studenti. Sospettato sia della strage neofascista di Brescia che di quella di Bolgona, si dà alla latitanza dopo la seconda fuggendo in Sud America, sotto l’ala del terrorista nero Stefano Delle Chiaie. Nella Bolivia di Garcia Meza Tejada, tra il 1981 e il 1982, è identificato come un agente paramilitare esperto in metodologie di interrogatorio e di tortura dei dissidenti politici. Muore nel 1982 al san Camillo di Roma, dove è stato trasportato in aereo in gravi condizioni a seguito del blitz dei servizi segreti italiani a Santa Cruz conclusosi con la sua cattura.


Titolo: Fascisti 70. Storie di vite estreme
Autrice: Paola Castriota
Editore: LiberEdizioni, 2022

Genere: Narrativa
Pagine: 168
ISBN: 9791280148742

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Francesca Scotti

Classe 1991. Cresciuta in Franciacorta, vive a Brescia, sua città natale. Ha studiato letteratura inglese e tedesca, laureandosi con una tesi sui rapporti fra la cultura tedesca e il nazionalsocialismo. Legge e scrive per vivere. È autrice della silloge di racconti “La memoria della cenere” (Morellini, 2016) e dei romanzi “Figli della Lupa” (Edikit, 2018), “Vento porpora” (Edikit, 2020) e "La fedeltà dell'edera" (Edikit, 2022). Anima rock alla perenne ricerca di storie della resistenza bresciana, si trova maggiormente a suo agio tra le parole dei libri e sui sentieri di montagna.

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