“Volevamo cambiare il mondo”: nel racconto di ex studenti dell’Istituto Pastori, storie di cooperazione in Africa e Sud America

Ho sempre ritenuto fondamentale che nella formazione di un giovane ci dovesse essere un momento predominante da dedicare agli altri, ed in specie ai più bisognosi, ai meno fortunati, e non tanto per mera, ma essenziale, solidarietà umana quanto per impegno civile, come contributo alla costruzione di una società migliore.
Giuseppe Prati, “Volevamo cambiare il mondo”, pag. 9

Dal 1997 al 2010, studenti dell’Istituto Pastori di Brescia partecipano a progetti di cooperazione trascorrendo i mesi estivi in Paesi dell’Africa e Sud America, a stretto contatto con le popolazioni locali, con la loro cultura e il complesso di peculiarità e limiti dell’agricoltura praticata in quei contesti. Ciò fu possibile grazie al “Progetto OASI”, nato dall’impegno di Giuseppe Prati, docente dell’Istituto Pastori, con il coinvolgimento di una fitta rete di associazioni e enti del territorio tra cui il Servizio Volontario Internazionale (SVI) e la Fondazione Tovini.

Nel 2022 nasce l’idea di recuperare i contatti con alcuni dei 57 giovani che presero parte al progetto, invitandoli a raccontare il valore di quell’esperienza e quanto abbia influito sulla loro vita. Nasce così “Volevamo cambiare il mondo”, volume a cura di Giuseppe Prati, edito da GAM, che ridà voce ai protagonisti di allora, i ragazzi e le ragazze che presero parte alle varie missioni, insieme a tutte le persone che, con caparbietà e spirito visionario, resero possibile il “Progetto OASI”.

Un libro corale che rievoca una fase della storia recente in cui, pur tra mille ostacoli, “cambiare il mondo” sembrava un’impresa a portata di mano, ma anche un ideale passaggio di testimone a chi è giovane oggi e, pur tra mille critiche e alzate di sopracciglio, sempre alla propria maniera, prova a migliorare la realtà.

Siamo rimasti tre settimane, abbiamo visitato i villaggi e le attività agricole intraprese per migliorare le coltivazioni, con l’intento di fare un’analisi della situazione. I dettagli tecnici e le innovazioni, anche se piccole, portavano miglioramenti, come la necessità di seminare il mail a file e non a spaglio o di usare mezzi dalle meccaniche semplici come l’elica per tagliare l’elephant grass e farne insilato. Non di trattava di grandi cose, piccoli interventi ma che nel lungo periodo potevano fare la differenza.
Pierpaolo Tagliola, “Volevamo cambiare il mondo”, pag. 71-72

Giuseppe Prati nasce in una famiglia rurale (il libro “Terra avara”, curato insieme a Daniele Bonetti, è dedicato alla storia della cascina in cui è nato) e, dopo la scuola media, si iscrive all’Istituto agrario Pastori di Brescia. Nel 1974 partecipa a un progetto del Ministero degli Esteri a Chirundu in Zambia, a valle della diga artificiale di Kariba, con l’obiettivo di collaborare con le popolazioni locali costrette ad abbandonare i propri villaggi per fare posto al nuovo bacino idrico. Per tre anni Prati lavora nella Zambesi Training Farm, scuola di agricoltura fondata da Father Joseph McCarthy, missionario gesuita irlandese, a stretto contatto con i contadini del luogo. Sperimenta così, come spiega nell’introduzione al volume, “un dialogo vero tra le diverse culture, praticato con la semplice condivisione di momenti della vita di ciascuno”. Di ritorno in Italia, inizia a insegnare proprio all’Istituto Pastori dove era stato studente. La carriera di docente prosegue fino al 2017, sempre con l’idea di offrire alle sue classi un’opportunità simile a quella sperimentata in Zambia: un “periodo dedicato all’ascolto, al confronto diretto, alla comprensione di affinità e differenze”.

Il proposito si concretizza con l’avvio del “Progetto OASI” che, dal 1997 al 2010, coinvolgerà 57 studenti in 31 missioni e 33 progetti di sviluppo rurale, realizzati in 10 paesi dell’Africa e dell’America Latina (Brasile, Burkina Faso, Guatemala, Kenya, Madagascar, Mozambico, Perù, Tanzania, Uganda, Venezuela). Il progetto, realizzato in collaborazione con il Servizio Volontario Internazionale (SVI) e la Fondazione Tovini, trova il sostegno della Provincia di Brescia, del Comune di Brescia e dei 20 comuni di residenza dei ragazzi e ragazze che contribuiscono alle spese del viaggio.

Scritto a vent’anni da allora, “Volevamo cambiare il mondo” raccoglie, sotto forma di interviste o racconti, l’esperienza di 21 ragazze e ragazzi. Oggi sono donne e uomini che hanno maturato percorsi molto diversi tra loro. C’è chi ha trovato lavoro nel mondo agricolo e allevatoriale e chi ha scelto ambiti diversi; chi abita nel paese d’origine e chi ha cercato fortuna lontano dall’Italia; chi ha mantenuto i legami con il mondo del volontariato e chi meno. Descrivendo l’esperienza del “Progetto OASI”, ciascuno ricorda le emozioni del viaggio, gli incontri e i progetti di lavoro portati avanti in quello che, per gran parte di loro, era il primo lungo periodo lontano da casa. Lo sguardo, poi, volge al presente: il lavoro, la famiglia, la vita di oggi. Ogni racconto non è una semplice rievocazione del tempo che fu, ma diventa un’occasione per riflettere sul presente. Cosa rimane di quell’esperienza? Quanto ha influito sul loro percorso di crescita? Cosa può trasmettere a chi è giovane oggi, in una società che si è trasformata in maniera radicale?

Il volume è arricchito dall’introduzione di Rosangela Comini, in rappresentanza della Consulta per la pace e la solidarietà tra i popoli, voluta dall’Amministrazione di Brescia guidata dal sindaco Paolo Corsini, e dall’intervento di Claudio Donneschi, presidente dello S.V.I. dal 1998 al 2004 che ricorda l’importanza dei corsi formativi che i ragazzi e le ragazze si impegnavano a seguire in preparazione al viaggio. A completare il libro, una selezione di fotografie, il dettaglio dei progetti e una rassegna stampa con tutti gli articoli dell’epoca. In chiusura c’è spazio per una sezione dedicata ai “pionieri” che hanno ispirato il progetto e a figure fondamentali che l’hanno resto possibile, tra le quali Marinella Bianchi, ai tempi referente per il Provveditorato agli Studi di Brescia, don Piero Lanzi, ideatore della Tenda della Solidarietà, Cristian Delai, presidente dall’Associazione Palcogiovani, e Beppe Mattei della Fondazione Tovini.

È quello che ho capito con l’esperienza del Progetto Oasi. tutti devono mettersi in dubbio e devono confrontarsi con altre realtà che vivono le stesse situazioni ma non necessariamente attuano le stesse risoluzioni dei problemi. Non è mai detto che il nostro modo sia quello più corretto e giusto per risolvere i problemi e vivere la vita. Io queste cose le ho passate anche alla mia famiglia che, pur avendo viaggiato e visto tante cose, rimane spesso chiusa nel proprio modo di pensare, nel suo mondo, pensandolo l’unico possibile.
Linda Costanzi, “Volevamo cambiare il mondo”, pag. 169

Il libro curato da Giuseppe Prati riflette anche sul nostro modo di rapportarci ai paesi che solitamente definiamo “del Sud del Mondo”. Non è semplice spogliarsi di preconcetti che sono insiti nel nostro modo di ragionare e spesso precludono una comprensione autentica della realtà. Succede anche quando il tema è l’agricoltura. Alla fine degli anni Novanta del secolo scorso, in molti paesi dell’Africa e Sud America, le condizioni di partenza erano differenti e i metodi di coltivazione seguivano logiche lontane dall’impostazione moderna. Da qui la necessità dell’ascolto e del dialogo che sono la chiave per rendere fecondo l’incontro tra culture distanti. Chi da adolescente ha partecipato al Progetto OASI oggi ricorda la bellezza dei paesaggi, la natura incontaminata, ma anche la povertà, l’arretratezza tecnologica, a volte la miseria. Eppure l’opportunità di farsene un’idea, seppur inevitabilmente parziale, attraverso un’esperienza sul campo ha lasciato una traccia indelebile nel loro percorso di crescita, su tutte l’idea che, per comprendere una realtà diversa dalla propria, il punto da cui partire è proprio il punto di vista altrui.

Mi ricordo che una notte siamo andati in quota per caricare la terra necessaria per il vivaio; ricordo la fatica, la difficoltà di respirare, mancava il fiato. Ricordo Vittoria Savio, volontaria ormai sessantenne che per una vita ha seguito gli operai che costruivano le strade ed a quel tempo gestiva una casa di accoglienza per ragazze madri, spesso abbandonate dalle comunità e messe ai margini.
Giovanni Nodari, “Volevamo cambiare il mondo”, pag. 139

“Volevamo cambiare il mondo” è anche una testimonianza preziosa della vitalità dell’associazionismo bresciano. Ogni giorno, al riparo dal clamore, tante persone portano avanti progetti concreti di solidarietà, inclusione e aiuto. Come emerge dai racconti di questo volume, si tratta di esperienze che hanno radici profonde, i cui frutti sono destinati a maturare nel tempo. Non significa, però, che non abbiano bisogno di visibilità. Certi percorsi possono essere di grande ispirazione e proprio per questo meritano di essere condivisi, dando voce a chi li ha vissuti in prima persona. Come insegna il paziente lavoro di Giuseppe Prati, seminare bene, con ostinazione e fiducia nel futuro, è l’antidoto migliore all’aridità che ci circonda.


Titolo: Volevamo cambiare il mondo
Autore: Giuseppe Prati (a cura di)
Editore; GAM editore
Anno: 2023

Genere: Saggio
Pagine: 264
ISBN: 9788831484954

Roberto Bonzi

Nasce nel 1978 a Nuvolento. Fin da piccolo, ama la scuola alla follia: trascorre metà della giornata a leggere e scrivere, l'altra a convincere i compagni di non essere un secchione. Dopo la laurea in "Discipline economiche e sociali" all'Università Bocconi, inizia ad occuparsi di comunicazione, di fiere e di congressi. Nel frattempo, dopo una parentesi come vicesindaco e assessore all’istruzione e cultura del suo paese natale, continua a leggere e scrivere (Come lontano da Irene, 2010; Remigio ovvero come ho imparato a non preoccuparmi e ad amare la matematica, 2015; Centro Fiera del Garda. Nascita e sviluppo di un polo fieristico per la Lombardia orientale, 2017) e a spiegare in giro cosa non è.

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