‘Elogio dell’aberrazione’: un “letamaio spirituale e sociologico” con sfondo salodiano, nella nuova dissacrante fatica letteraria di Francesco Permunian

Recensione a cura di Silvia Lorenzini per Brescia si legge

Prima di imbarcarmi in questa nuova impresa dall’esito incerto e forse inattendibile – prima di redigere cioè un ragionevole inventario di cose e persone del mio recente passato – forse avrei fatto bene a pensarci due volte. E, magari, a tacere.

Francesco Permunian, “Elogio dell’aberrazione”, pag. 11

Cosa ci sarà mai di eccitante nella vita di un’amena cittadina di provincia? Possibile che dietro l’apparenza di una linda località di villeggiatura come Salò si celino scoppiettanti vicende di varia umanità da raccontare?

Nel suo “Elogio dell’aberrazione” (pubblicato da Ponte alle Grazie nel 2022 – acquista qui) Francesco Permunian, autore polesano che da decenni ha scelto il lago di Garda come sua seconda patria, pare non avere dubbi a riguardo, facendo di Salò il centro della pruriginosa, quanto grottesca e simbolica, vicenda di Tito Maria Imperiale, vicecapocronista dell’Eco del Garda. Uomo, neanche a dirlo, dai mille vizi privati e dalle non altrettante pubbliche virtù.

Il titolo di per sé costituisce già una dichiarazione programmatica rispetto a quanto il lettore può aspettarsi nel pirotecnico racconto della sconcertante e disordinata deviazione, l’aberrazione appunto, della schiera di personaggi che si agitano nelle pagine di Permunian: il “letamaio spirituale e sociologico” della provincia, ciò da cui Permunian dichiara di essere attratto, la fonte di ispirazione delle sue storie.

Un’inquietante carrellata di personaggi verosimili

Nel salone tutto stucchi e arazzi di una magnifica villa storica della Riviera Bresciana si è svolta, qualche tempo fa, la presentazione in anteprima di un progetto cinematografico denominato “Sulle ceneri di Salò”, una sorta di lungometraggio che un tale Ondino dell’Onda sta girando sui luoghi che ispirarono a Pasolini il suo “Salò o le 120 giornate di Sodoma”. Più che un vero film, è un docudrama che mescola elementi di fantasia, paesaggi gardesani e sequenze estrapolate da vari filmati riguardanti la vita e la morte del regista friulano. O, perlomeno, questo è il proposito del signor Ondino il quale, da abile e scafato videomaker, ha manifestato chiare intenzioni commerciali più che artistiche. La precisa volontà di creare un prodotto popolare per spettatori di bocca buona, in luogo di un’opera stilisticamente “crudele” ma indigesta al grosso pubblico italiano. Ecco perché verrà privilegiato l’aspetto, tutto sommato ilare e giocoso, del Girone della Merda con relativo festival delle flatulenze.   

Francesco Permunian, “Elogio dell’aberrazione”, pag. 40 – 41

I personaggi del resto, sono quelli che sono. Tito Maria Imperiale che, a dispetto del nome altisonante, è conosciuto da tutti come el sior Titìn perché a malapena raggiunge il metro e sessanta: pretenzioso intellettuale dalle ambizioni frustrate, ipocondriaco, coprofilo, con episodiche digressioni nell’antropofagia.

Abbiamo poi Ofelia del Pirón che, a dispetto del nome, non ha nulla a che spartire con la fanciulla eterea immortalata dai preraffaeliti: consorte di Tito Maria Imperiale, con cui condivide la coprofilia, abbandona il marito per un impresario di una ditta di spurghi condominiali.

E non possono mancare un prete pedofilo, una suora ninfomane esclaustrata, ma anche sedicenti artisti cinematografici in cerca di facile notorietà e tanti altri individui che compongono, con le loro bizzarre fissazioni e perversioni, il mosaico in miniatura di un’intera umanità

“L’elogio dell’aberrazione” non è un romanzo. La storia di Tito Maria Imperiale è il frammento principale di una delle tante storie che neppure trovano sviluppo, come quella di una prostituta accusata di infanticidio o di una moglie maltrattata dal marito che, a loro volta, prendono la parola in alcuni capitoli, per poi scomparire. A Salò vi è anche il cineasta Ondino dell’Onda che vuole girare un sequel delle “120 giornate di Sodoma” di Pasolini. Il casting suscita l’entusiasmo di una massa di aspiranti attorucoli e di tanti nostalgici, fra cui un novantenne in divisa da repubblichino che smercia al miglior offerente reliquie del Terzo Reich.

Riferimenti letterari illustri per una ‘novella fabula milesia’

Come recita il sottotitolo, Permunian ci propone una “novella fabula milesia”, la rielaborazione cioè di una di quelle storielle diffuse nell’antichità, dai contenuti scollacciati e dai toni ridanciani, che devono il loro nome all’inventore del genere, Aristide da Mileto. In questo modo l’autore si colloca nella linea della letteratura più dissacrante che risale fino al “Satyricon” di Petronio, romanzo latino del I sec. d.C., lunga fabula milesia con cui “L’elogio dell’aberrazione” condivide l’ossessione per il cibo e il sesso, nonché un vitalismo triste e perverso che sembra scaturire dal pensiero costante della morte.

Via via, l’autore dissemina le pagine degli echi dei suoi maestri di irriverenza: il marchese De Sade (di cui è l’epigrafe dell’opera), Giordano Bruno, lo stesso Erasmo da Rotterdam, di cui evidentemente nel titolo viene richiamato “L’elogio della follia”.  

Contro le miserie di una ‘cultura’ svenduta alle logiche di mercato

Del “circo grottesco e disumano che è la vita umana”, ci vengono raccontate le ordinarissime esistenze di gente di tutti i tipi, tutte aberranti da una normalità morale che non esiste. E, in fondo, come si può stabilire se le bizzarre passioni di Tito Maria Imperiale siano più aberranti del filisteismo di preti e intellettuali che predicano amore e giustizia per poi praticare esclusivamente il proprio interesse personale?

Come in altre sue opere, anche in questa Permunian scrive su questi ultimi le sue pagine più caustiche: “artisti, romanzieri, saggisti, teatranti, poeti (ma anche opinionisti e gazzettieri vari)” che, per la celebrità e quattro soldi, imbrattano la cultura e i valori umanistici, riducendoli, fuor di metafora, a un cesso. Esattamente come avveniva nel salotto di casa Imperiale – Del Pirón dove gli intellettuali ospiti “apprendevano i primi rudimenti di quella scatologia generale che oggi è assurta a filosofia quotidiana”. Oppure come il professore di filosofia comunista che subissava gli operai del petrolchimico di Marghera di articoli fumosi, più per costruirci la sua carriera universitaria che per reale interesse per la causa; e meritatamente gli operai in questione, più interessati a discutere cause sindacali o questioni salariali, destinavano ai suoi scritti il luogo che meglio gli spettava, il cesso, appunto.

Il paradosso che Permunian rivela con tanta ferocia è che una cultura svenduta alle logiche del mercato, anziché portare al soddisfacimento dell’ambizione individuale, produce esattamente l’effetto opposto: una cultura che si trangugia ingozzandosi per poi essere espulsa come escremento, nonché una massa di intellettuali disoccupati che si aggirano per gli stand delle fiere librarie in cerca di qualche minuto di notorietà, col solo effetto di venire liquidati dagli organizzatori scocciati con qualche centesimo e un tramezzino.

La narrazione in prima persona da parte di ciascun personaggio evita però all’autore di prendere posizione e di dover esprimere un giudizio sulla materia raccontata. Emergono solo le voci, ora scanzonate, ora disperate dei vari narratori, tutti accomunati dall’indifferenza morale e tutti dominati allo stesso modo dal desiderio di parlare, parlare, parlare, raccontare di sé e delle proprie vicende.

A un certo punto però si viene assaliti da un dubbio: visto il calibro di Tito Maria Imperiale, se tutto il suo racconto non fosse altro che frutto del suo narcisismo logorroico, della sua smania di farsi notare per sentirsi importante? Se tutta questa storia non fosse altro che una colossale presa in giro, un accumulo di invenzioni senza costrutto di un esibizionista in cerca di attenzione?… Il lettore non lo saprà mai. Diabolico Permunian.


Titolo: Elogio dell’aberrazione
Autori: Francesco Permunian
Editore: Ponte alle Grazie, 2022

Genere: Narrativa
Pagine: 208
ISBN: 9788833319117

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Silvia Lorenzini

Bresciana, laureata in Lettere Classiche presso l'Università di Pavia. Ha trascorso anni a girovagare fra la Germania e l'Inghilterra per ragioni di studio, di lavoro e di amore. Dal 2005 insegna Italiano e Latino in uno dei licei cittadini. Appassionata di storia locale, adora la montagna, la musica, i libri e non saprebbe vivere se le mancasse anche solo una di queste tre cose.

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