“Siano Vive Messe Al Foco”: un romanzo storico intenso sulla stregheria nella Val Camonica del Cinquecento

Recensione a cura di Roberto Bonzi per Brescia si legge

Il Tonale era un luogo magico, ma lasciava immutate le domande. Troppo isolato. Si doveva scendere a valle per trovare risposte, là dove si celebravano i processi, là dove donne e uomini mantenevano con erbe e alberi un rapporto stretto quotidiano.

Streghe. «Siano Vive Messe Al Foco Et Brusate» di Andreina Franco-Loiri Locatelli, pp. 35

Agli inizi del Cinquecento, l’Europa vive un rinnovamento profondo. Sull’onda delle nuove rotte commerciali, la borghesia mercantile lotta per diventare egemone. Le scoperte tecnologiche trasformano la vita materiale delle persone mentre la Riforma luterana, volgendo lo sguardo a quella spirituale, mette in discussione il potere secolare della Chiesa di Roma. Umanesimo e Rinascimento sono all’apogeo. Eppure, negli stessi anni in cui la teoria copernicana sgretola i dogmi, dai paesi scandinavi al Mediterraneo il continente è attraversato da un fenomeno all’apparenza del tutto irrazionale: la stregheria. Migliaia di persone innocenti vengono spogliate di tutto, esposte alla gogna e costrette a confessare crimini immaginari. A condannarle al rogo sono uomini di Chiesa, ma anche laici. Secondo stime attendibili, nell’arco di tre secoli si conteranno più di 60.000 vittime. Tra l’ottanta e il novanta per cento, donne.

Streghe. «Siano Vive Messe Al Foco Et Brusate»”, romanzo di Andreina Franco-Loiri Locatelli (Mimesis, 2021 – acquista qui), è ambientato nella Val Camonica di allora e prende spunto da un fatto storicamente documentato: il 23 giugno 1518, a Pisogne, sette donne e un uomo furono messi al rogo nella piazza del paese con l’accusa di stregheria. 

L’autrice è docente di storia e letteratura nella scuola superiore ed operatrice culturale presso l’Accademia Carrara e la Galleria D’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo. La sua ricostruzione dell’epoca attinge ad un’ampia documentazione, in particolare ai Diarii di Marin Sanudo, una sorta di cronistoria della vita veneziana del Cinquecento e dei territori controllati dalla Serenissima, e smentisce il pregiudizio in base al quale la caccia alle streghe risalirebbe al Medioevo più cupo e non ad una stagione tra le più fiorenti della storia europea.

La Val Camonica cinquecentesca della caccia alle streghe

L’Agnesa aveva gli occhi lucidi.

“Perché con figlie femmine si può parlare. Solo tra donne ci si capisce perché i maschi son fatti diversi. Hanno la ciucca facile e le mani pesanti”. Anche i suoi due figli che se li era portati via il capitano avevano le mani pesanti, ma lei sarebbe stata contenta di patir lividure per tutti i giorni della sua vita e strangolarsi di bocconi amari purché loro fossero tornati, perché son figli anche se picchiano e prendono la ciucca.

“Noi donne solo di sogni ci inciucchiamo e i sogni gli uomini non li conoscono!”

Streghe. «Siano Vive Messe Al Foco Et Brusate» di Andreina Franco-Loiri Locatelli, pp. 48

Nella narrazione, i personaggi storicamente esistiti si alternano a quelli di fantasia. Tra questi ultimi, emergono tre figure in particolare. 

La prima è quella di Guglielmo, un medico giunto in valle per una missione avvolta nel mistero che sembra inserirsi nella diatriba tra la Curia romana e la Serenissima. La mentalità montanara in cui si imbatte ha poco in comune con quella delle città dotte del Cinquecento e pure con l’idea di spiritualità propugnata dalla Chiesa di allora. I presunti episodi di stregheria che infesterebbero la Val Camonica diventano per lui un’ossessione. La ricerca della verità lo costringe a mettere in discussione il pensiero dei suoi maestri e, soprattutto, a fare i conti con un dolore sempre vivo che viene dal passato. 

Il percorso di Guglielmo s’intreccia a quello di Padre Innocenzo, un domenicano terrorizzato dalle trame del maligno e che giudica la lotta alle streghe l’unica speranza per salvare il mondo. Nell’arco del romanzo, le sue convinzioni vengono messe alla prova dalla scoperta dell’amore.

Infine c’è Fiore, una dodicenne cresciuta senza i genitori, su cui cade l’accusa di essere figlia del demonio. Fin dalla nascita, viene additata con sospetto. Ciò non le impedisce di sviluppare, in maniera del tutto spontanea, una relazione panica con la natura. Il suo “respiro” è quello “del bosco”. Parla alla luna, è convinta di comunicare con gli animali e ha un abete rosso prediletto (il “pagher”) che abbraccia come un fratello. Questa sorta di comunione con il creato, lontanissima dalla nostra sensibilità, era molto radicata nei tempi antichi, soprattutto in contesti ostici come quello della montagna. La giovane Fiore ha nel proprio DNA l’impronta degli antenati. Il rapporto mistico e quasi sensuale con gli elementi naturali è un retaggio di allora che l’avvento del Cristianesimo ha finito per soffocare. Alla Chiesa resta l’incombenza di alimentarne lo stigma.

Le vicende dei personaggi convergono verso quel 23 giugno 1518 in cui il rogo nella piazza di Pisogne mette fine alla vita di otto persone, segnando un prima e un dopo per l’intera comunità.

Nelle pagine del romanzo, il racconto della montagna non viene mai edulcorato perché scaturisce sempre dal punto di vista dei personaggi. Questa tecnica regala momenti profondamente lirici (in primo luogo nei flussi di coscienza di Fiore) ma anche squarci di estrema crudezza sulla società del tempo. 

Un racconto di ordinaria violenza

Un’intuizione, un sospetto. Attraverso l’accusa di stregheria l’Inquisizione tentava di sottrarre alle donne il potere nell’unico ambito sul quale esse avevano facoltà di esercitarlo: la generazione, la nascita. Gli uomini, i medici stessi, erano da sempre tenuti lontani dei parti. Le partorienti rifiutavano la loro presenza. Era una condizione che durava da secoli, aveva origine nella notte dei tempi. Perché proprio nella loro epoca l’autorità ecclesiastica e forse anche quella civile ne erano talmente contrariate da arrivare ad usare la violenza dei roghi per ostacolarla?

Streghe. «Siano Vive Messe Al Foco Et Brusate» di Andreina Franco-Loiri Locatelli, pp. 292

Padre Innocenzo non era l’unico a credere che il mondo fosse in pericolo. Nel Cinquecento, l’idea che il demonio agisse in combutta con donne disposte a tramutarsi in streghe era una convinzione comune che univa gli strati sociali: colti e incolti, ricchi e poveri, chierici e laici. Tutti credevano nell’esistenza delle streghe e soprattutto nella necessità di scovarle ed eliminarle. 

Il romanzo di Andreina Franco-Loiri Locatelli restituisce la mentalità del tempo mostrandone le contraddizioni, senza illuderci che un fenomeno così complesso possa avere spiegazioni semplici.

Le teorie del complotto, infatti, non nascono necessariamente dall’ignoranza e dalla povertà. Al contrario, proliferano proprio in quelle fasi storiche in cui il progresso accelera e la società si ritrova impreparata a gestire il cambiamento. Dallo smarrimento che ne deriva scaturisce la paura. Dalla paura, l’ansia di individuare un colpevole. 

In quest’ottica, la caccia alle streghe non è un fenomeno irrazionale ma porta solo all’estremo la violenza generalizzata contro le donne che, in forme più o meno latenti, è un tratto distintivo della società del Cinquecento ma anche di quella di oggi.

Caccia alle streghe e sindrome del complotto

Erano le streghe a creare la paura o la paura a creare le streghe? Il romanzo di Andreina Franco-Loiri Locatelli sembra suggerire che le dinamiche alla base della società del Cinquecento, secolo di grandi scoperte e progresso, non siano poi così dissimili dal mondo ipertecnologico di oggi. L’idea che una donna possa accoppiarsi con il diavolo può sembrarci assurda, eppure ogni giorno siamo sommersi da fake news altrettanto infondate che condizionano il dibattito pubblico fino ad incidere sulle politiche dei governi. Siamo certi di essere meno irrazionali di allora? Credere a una cospirazione di streghe è così lontano da essere seguaci di QAnon o teorizzare un complotto mondiale di Big Pharma? Assistere indifferenti ad un rogo è tanto diverso da skippare un video di migranti che annegano in mare? 

L’epoca degli inquisitori ci sembra lontana, eppure la gogna sui social è una dinamica fuori controllo che amplifica un atteggiamento presente da sempre nella vita reale. Intanto, la lotta alle discriminazioni e al gender gap fatica ad entrare nell’agenda politica, mentre è abbastanza comune imbattersi in persone che minimizzano l’ennesimo caso di femminicidio, a cominciare da chi esercita il potere legislativo. Allo stesso modo, body shaming o revenge porn vengono spesso sottovalutati, cancellando il punto di vista delle vittime con la stessa forma mentis impiegata da sempre nei casi di violenza sessuale.

“Streghe” di Andreina Franco-Loiri Locatelli, invece, si tiene lontano dalle convinzioni di comodo, affidandosi alle uniche tracce che valga la pena seguire: i pensieri, le azioni e i percorsi di chi ci ha preceduto. Il risultato è un romanzo intenso e coinvolgente che emoziona e spinge a riflettere, dove il contesto storico è un elemento essenziale per descrivere l’interiorità dei personaggi e rendere viva, viva per sempre, la loro voce. 


TitoloStreghe. «Siano Vive Messe Al Foco Et Brusate» 
Autore: Andreina Franco-Loiri Locatelli
Editore: Mimesis, 2021

Genere: Romanzo
Pagine: 384
Isbn: 9788857578002

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Roberto Bonzi

Nasce nel 1978 a Nuvolento. Fin da piccolo, ama la scuola alla follia: trascorre metà della giornata a leggere e scrivere, l'altra a convincere i compagni di non essere un secchione. Dopo la laurea in "Discipline economiche e sociali" all'Università Bocconi, inizia ad occuparsi di comunicazione, di fiere e di congressi. Nel frattempo, dopo una parentesi come vicesindaco e assessore all’istruzione e cultura del suo paese natale, continua a leggere e scrivere (Come lontano da Irene, 2010; Remigio ovvero come ho imparato a non preoccuparmi e ad amare la matematica, 2015; Centro Fiera del Garda. Nascita e sviluppo di un polo fieristico per la Lombardia orientale, 2017) e a spiegare in giro cosa non è.

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