Quattro comunisti bresciani raccontano il loro incrocio con la storia del secondo ‘900 nelle preziose testimonianze collezionate dalla Fondazione DS

Dall'alto a sinistra: Giuseppe Sartori, Mario Tambalotti, Franco Torri e Giuseppe Paderno - militanti bresciani del PCI nel secondo '900

Recensione di Francesca Scotti per Brescia si legge

Quattro storie bresciane del secondo ‘900 trasudanti attivismo e alti valori morali in uno spicchio di storia d’Italia agitato da forti tensioni politiche e civili, ma al contempo animato da splendidi esempi di impegno civico. Quattro vite vissute al ritmo di continue battaglie, sostenute da sterminate speranze e, soprattutto, alimentate da un ideale politico comune, quello comunista, che in esse ha sempre conciso con un concreto servizio a favore dei cittadini, in particolare dei lavoratori e delle categorie sociali più vulnerabili.

“Il nostro incrocio con la storia”, libro edito nel 2020 dalla casa editrice gavardese LiberEdizioni, raccoglie le testimonianze di quattro militanti del PCI bresciano – Giuseppe Sartori, Mario Tambalotti, Franco Torri e Giuseppe Paderno – la cui attiva militanza politica ha intersecato la grande storia nell’epoca della controcultura, negli anni di piombo e in quelli che, a partire dal 1989, hanno visto la crisi del comunismo internazionale.

Le memorie dei protagonisti, opportunamente introdotte e corredate da fotografie, sono state trascritte dai curatori Mauro Baioni, Roberto Cucchini, Flavio Piardi e Valerio Verga.

Il volume ha visto la luce in collaborazione con la Fondazione DS di Brescia, che con tale pubblicazione si è proposta di ripercorrere le aspirazioni, le fatiche, gli inciampi e le vittorie della sinistra bresciana del ‘900 attraverso le biografie di quattro suoi emblematici militanti; biografie che offrono variegati spunti di riflessione sul presente e il cui valore intrinseco, profondamente umano oltre che storico, è sicura fonte d’ispirazione per chiunque creda, al di là di qualsiasi affiliazione di partito, che l’esistenza non vada vissuta solo per sé, ma anche contribuendo, secondo le proprie forze e vocazioni, al miglioramento della società in cui siamo radicati.

Le due guerre di Pino Sartori

[…] Si parlò di comunismo e di un modo diverso di organizzare la vita della gente, senza ricchi e poveri, senza padroni e dipendenti. Io misi insieme le informazioni e le chiacchiere di mia moglie sulla Russia con le botte che avevo preso dai tedeschi, con le conversazioni avute con i greci ad Atene, con i maltrattamenti del campo di Treviri, con l’appello del mio capitano ad arruolarmi nell’RSI per tornare a fare l’eroe in Italia; tutti avvenimenti e ragionamenti che confusamente nella mia testa stavano delineandosi a formare qualcosa di più preciso.

Giuseppe Sartori, “Il nostro incrocio con la storia”, p. 43

L’arruolamento durante la seconda guerra mondiale e i combattimenti dapprima in Francia, poi in Albania e infine in Grecia; la prigionia nei lager nazisti e l’avventuroso ritorno in Italia dopo la liberazione; le sofferenze di un fisico minato dalla tubercolosi e i viaggi in Unione Sovietica per ritrovare la famiglia della moglie russa Rosa, conosciuta nei lager. Quella del bresciano Giuseppe (Pino) Sartori, classe 1920, è una storia ricca di coraggio, svolte impreviste, resistenze e battaglie. Ce la racconta lui stesso, con uno stile tanto vivido e appassionante che noi lettori abbiamo subito l’impressione di trovarci di fronte a un romanzo storico o alla trama di un film, mentre ogni suo periodo è nientemeno che un fotogramma di vita vissuta.

Nell’Italia finalmente democratica del dopoguerra, Sartori ha abbracciato il comunismo e tale suo gesto non si è tradotto nella mera sottoscrizione di una tessera, bensì nell’impegno concreto e appassionato di tutta una vita, a difesa dei diritti degli operai come lui. Ed è proprio in fabbrica, dinanzi ai soprusi e ai drammi di un ambiente lavorativo alienante, che Sartori ha fatto l’esperienza di ciò che definisce come un’altra guerra, diversa da quella che dilania nazioni avverse, ma pur sempre brutale e carica di ingiustizie.

Una notte, fra i rottami gettati nel forno finì qualcosa che provocò un grosso scoppio. Ci furono una montagna di morti e di feriti. […] Mi ricordo d’aver visto un operaio uscire dal metallo fuso e di vederlo calare di statura mentre correva perché le gambe gli si bruciavano nel metallo vivo.

Giuseppe Sartori, “Il nostro incrocio con la storia”, p. 49

Alla guerra nelle fabbriche Sartori ha partecipato attivamente, ottenendo insieme ai compagni importanti incentivi per le condizioni lavorative degli operai, troppo spesso sottoposti a innumerevoli rischi causati dalla negligenza dei padroni, oppure costretti a un lavoro disumanizzante, senza mense né spazi adeguati e tantomeno sicurezza contro infortuni e morti bianche.

Una volta in pensione, Sartori ha ricoperto il ruolo di responsabile del centralino della federazione bresciana del PCI e più tardi, in seguito al cambio del nome del partito, del PDS. Il suo acceso impegno civico e politico, mai disgiunto da una buona dose di umiltà e di coraggio, è continuato così fino alla morte, sopraggiunta nel 1996.

Mario Tambalotti: il ritratto di un «militante vero»

[…] La mia partecipazione alla vita politica del partito è stata da semplice militante. Ma da militante vero, cioè che partecipa alle riunioni, che dà il suo contributo.

Mario Tambalotti, “Il nostro incrocio con la storia”, p. 112

Nato nel 1930, il bresciano Mario Tambalotti è stato un uomo che, pure a ottantanove anni, dimostrava una lucidità e una fierezza impressionanti. La fierezza, che portava scolpita in viso e nell’atteggiamento, doveva averla in parte ereditata dal padre Vincenzo. Quest’ultimo, negli anni della dittatura fascista, ha infatti saputo farsi rispettare persino dalle temute camicie nere e quando la tessera del fascismo, mai richiesta, gli è stata recapitata a casa, non ci ha pensato due volte a sbarazzarsene. Un padre fermo e coraggioso, il suo, che gli ha lasciato come testimone gli ideali comunisti, l’attenzione alla classe operaia e agli ultimi.

Memore della lezione paterna, Tambalotti ha portato avanti per tutta la vita la sua militanza nel PCI. Mentre si manteneva lavorando come operaio alla Breda, si è laureato alla Bocconi, facendo la spola tra Brescia e Milano a bordo di treni lenti e trasandati.

Negli anni cinquanta, ha inoltre svolto delle supplenze in matematica in svariate occasioni, in un periodo in cui – per i comunisti – la discriminazione negli ambienti di lavoro ed in particolare nelle scuole era altissima. Ha in seguito lavorato come commercialista fino alla pensione. Grazie alla sua istruzione, è stato segretario del partito comunista e oggi è considerato il vero padre della Fondazione della Comunità Bresciana.

Ci ha lasciati nel 2019 e con lui se n’è andato un uomo coerente e generoso, dalla forte integrità morale.

Franco Torri: la ricca vicenda umana e politica di un comunista bresciano formatosi a Mosca

Gli anni dell’università aprirono i miei occhi e la mente non solo verso i miei studi, ma verso il “Mondo”, portandomi oltre gli stretti confini di Quinzano d’Oglio. La metropolitana che usavo tutti i giorni per frequentare la facoltà di Economia Politica, che si trovava vicino alla piazza Rossa, presentava bellezze architettoniche e artistiche che rendevano la città quasi più bella sotto il suolo che sopra.

Franco Torri, “Il nostro incrocio con la storia”, p. 129

Nato nel 1937 nel comune bresciano di Quinzano d’Oglio, Franco Torri è stato mandato a studiare a Mosca dal PCI alla fine del 1956, affinché si formasse come quadro. Rientrato in Italia, ha ricoperto le cariche di dirigente sindacale e politico del partito. È inoltre stato segretario regionale della CGIL lombarda, nonché direttore della camera del lavoro milanese negli anni di piombo e della federazione comunista di Brescia nel delicato periodo seguito alla caduta del muro di Berlino e al crollo dell’URSS.

Pur ricordando gli anni trascorsi a Mosca come i più belli della sua vita ed essendosi necessariamente confrontato per tutta la sua militanza nel PCI con la patria del comunismo, Torri ha sempre sostenuto che il comunismo italiano dovesse distanziarsi dal modello sovietico e si è puntualmente e costantemente dimostrato contrario a qualsiasi estremismo all’interno del partito. Ne è la dimostrazione il fatto che, durante gli anni di piombo, Torri sia stato ricercato non solo dai neofascisti bresciani, ma anche dai brigatisti rossi milanesi.

Torri è infatti stato non solo fra gli organizzatori della manifestazione antifascista del 28 maggio 1974 in piazza Loggia, ma anche fra coloro che hanno indetto le manifestazioni bresciane a seguito del sequestro e dell’uccisione di Aldo Moro da parte delle brigate rosse, guidando la coscienza dei cittadini e dei lavoratori verso un comunismo che doveva assolutamente dissociarsi da ogni forma di violenza in quanto ogni violenza, a prescindere dal colore politico, è una forma di fascismo.

Insistevo sul fatto che dovevamo stare attenti: non era possibile confondere la storia dei comunisti italiani, fatta di antifascismo e lotte per la libertà e la democrazia, con l’esperienza sovietica.

Franco Torri, “Il nostro incrocio con la storia”, p. 157

La vicenda politica e umana di Torri ha incrociato l’evoluzione del PCI in tutta la seconda metà del ‘900 e si è snodata attraverso la profonda crisi del comunismo internazionale, consegnandoci la figura, lucentemente umana e intensa, di un convinto comunista d’eccezione.

Giuseppe Paderno e l’esperienza di un impegno politico solidale

Non si era più nella fase in cui bastava che andasse su un rappresentante per trattare con la direzione. Siamo quindi arrivati all’occupazione che avevamo votato in assemblea e che è durata ventidue giorni; è stata la prima di tutta la provincia. Stavamo dentro giorno e notte, a turno. Io ho fatto sempre la notte. Vennero da noi anche Dario Fo e Franca Rame. Anche gli studenti vennero a portarci la loro solidarietà davanti ai cancelli.

Giuseppe Paderno, “Il nostro incrocio con la storia”, p. 169 – dal resoconto dell’occupazione dell’ATB di Brescia nel ’68, con la quale i lavoratori bresciani sono entrati positivamente in trattativa con l’AIB (Associazione Industriali Bresciani), raggiungendo importanti traguardi

Nato nel 1942 in una famiglia di Cazzago San Martino dalle disponibilità economiche medio-basse, il bresciano Giuseppe Paderno ha iniziato a lavorare in una carpenteria del paese natale già all’età di undici anni, per poi continuare come saldatore carpentiere in una fabbrica di Brescia. Si è iscritto al PCI negli anni cinquanta e ha inoltre aderito alla FIOM. In prima linea ogni volta che occorreva indire un’assemblea o organizzare sciopero per difendere i diritti dei lavoratori (come nello sciopero generale del ’68 a Brescia), dal ’69 in poi ha maturato una costante esperienza dei consigli di fabbrica, in cui i lavoratori hanno potuto iniziare a far sentire la propria voce.

Dal suo racconto emerge un uomo schietto e altruista alle prese con anni di grande impegno e tensione ideale nei quali si è sentito coinvolto e partecipe nel discutere le varie scelte strategiche in prima persona, dal compromesso storico al governo di solidarietà nazionale, dagli orientamenti da assumere col PCI sulle questioni amministrative e locali al rapporto con la DC.

Ho lavorato trentadue anni all’ATB, e ripensando alla mia esperienza, all’incontro col PCI, all’attività sindacale, devo dire che i vecchi compagni mi hanno aperto una prospettiva: alla mia spontanea ribellione contro una società ingiusta, mi hanno fatto capire il valore di un impegno politico solidale.

Giuseppe Paderno, “Il nostro incrocio con la storia”, p. 177

Titolo: Il nostro incrocio con la storia. Il racconto di quattro comunisti bresciani
Autori: Giuseppe Sartori, Mario Tambalotti, Franco Torri, Giuseppe Paderno

Curatori: Mauro Baioni, Roberto Cucchini, Flavio Piardi, Valerio Verga
Editore: LiberEdizioni, 2020

Genere: Raccolta di testimonianze
Pagine: 180
ISBN: 9788885524774

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Francesca Scotti

Classe 1991. Cresciuta in Franciacorta, vive a Brescia, sua città natale. Ha studiato letteratura inglese e tedesca, laureandosi con una tesi sui rapporti fra la cultura tedesca e il nazionalsocialismo. Legge e scrive per vivere. È autrice della silloge di racconti “La memoria della cenere” (Morellini, 2016) e dei romanzi “Figli della Lupa” (Edikit, 2018), “Vento porpora” (Edikit, 2020) e "La fedeltà dell'edera" (Edikit, 2022). Anima rock alla perenne ricerca di storie della resistenza bresciana, si trova maggiormente a suo agio tra le parole dei libri e sui sentieri di montagna.

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