“Muori presto”: il neofascismo oggi, tra brutalità e camuffamenti. Intervista a Federico Gervasoni

Intervista a cura di Andrea Franzoni per Brescia si legge

“Io mi considero semplicemente un ragazzo che ha scelto di raccontare ciò che il suo territorio gli ha suggerito. Se io vedo una persona che si definisce fascista e si candida alle elezioni, e magari diventa esponente delle istituzioni giurando sulla Costituzione, io sento di avere il dovere di raccontarlo. Lo sento perché la nostra Costituzione è antifascista, e lo sento tanto di più perché Brescia è una città che – il 28 maggio 1974 – da una bomba fascista è stata distrutta. Definirsi fascisti a Brescia io lo vedo come una mancanza di rispetto nei confronti della città, della sua gente, di quello che ha passato”.

Federico Gervasoni

“Muori presto. Il neofascismo fra brutali minacce e violenti percorsi contemporanei” (LiberEdizioni 2021 – acquista qui) è il titolo del nuovo libro di Federico Gervasoni, giornalista trentenne autore – nel 2019 – del saggio “Il cuore nero della città” che ha colpito il nervo scoperto del neofascismo bresciano generando un grande interesse, ma anche attirando sull’autore intimidazioni e malevole attenzioni. Un nuovo libro d’inchiesta, nello stile di Gervasoni, che parte da un’analisi della galassia neofascista bresciana, anche recentemente alla ribalta della scena nazionale, per allargare lo sguardo sulle più recenti evoluzioni dell’estremismo di destra italiano: un mondo violento ed ottuso, ma anche capace di camuffarsi e di infettare la società.

Brescia si legge ha intervistato Federico Gervasoni in occasione dell’uscita del suo nuovo libro che vanta la prefazione di Emilio Del Bono e che contiene anche i contributi di Alfredo Bazoli, parlamentare (e figlio di una delle vittime della strage di Piazza della Loggia), e del sociologo esperto di mafie Leonardo Palmisano.

Un’intervista a tutto campo, che permette di conoscere meglio – oltre al contenuto di questo nuovo libro – le motivazioni che hanno spinto Federico a occuparsi di un fenomeno che – tristemente – riguarda e ha riguardato la nostra provincia molto da vicino.

Il tuo primo libro, “Il cuore nero della città”, è stato un piccolo caso editoriale: due edizioni, decine di presentazioni in tutta Italia, molti attestati di stima e tante attenzioni (non sempre gradevoli). Cosa aggiunge “Muori presto”, il tuo nuovo libro?

Federico – “Il cuore nero della città” era un’opera prettamente bresciana che parlava dei gruppi neofascisti della nostra città senza però andare oltre: era un’opera “provinciale”, come si evince anche dal sottotitolo (viaggio nel neofascismo bresciano), rivolta soprattutto ad un pubblico locale.  

“Muori presto” è invece una fotografia aggiornata del neofascismo in Italia: un viaggio che anche questa volta parte da Brescia, ma in cui arrivo poi a parlare di tante realtà italiane. Questo secondo libro rappresenta quindi un’evoluzione dei temi affrontati ne “Il cuore nero”: i temi sono sempre quelli, dal neofascismo negli stadi ai vari gruppi di estrema destra, ma questo libro si spinge ben oltre i confini provinciali e racconta anche le evoluzioni più recenti come le manifestazioni violente fatte dall’estrema destra contro il primo lockdown.

Il tuo primo libro di inchiesta ti è costato diverse minacce. Il titolo di questo nuovo libro fa in qualche modo riferimento a questo clima di odio in cui ti sei trovato invischiato?

Federico – Esattamente: questo nuovo libro ha come titolo proprio una delle tante minacce che ho ricevuto al tempo dell’uscita del primo libro (in quel caso si trattava di un commento, “Gervasoni muori presto”, scritto da una persona molto vicina agli ambienti neofascisti di cui mi sono occupato).

Ho scelto questo titolo perché è un titolo di impatto, e perché fa capire fin da subito cosa significa parlare di neofascismo in Italia: un paese in cui chi si occupa di chi commette un reato (perché il fascismo in un paese fondato sull’antifascismo come il nostro è un crimine, non un’opinione) riceve una risposta estremamente violenta.

Ovviamente la questione mi tocca particolarmente perché quella minaccia è stata rivolta a me, e perché di minacce continuo a riceverne. In generale non mi piace molto parlare delle minacce che ricevo (e che ho ricominciato a ricevere immediatamente dopo la pubblicazione di questo secondo libro) perché non vorrei che l’attenzione venisse sviata dai contenuti del mio lavoro di inchiesta; ma sicuramente è importante e esplicativo mostrare quali siano le difficoltà cui va incontro chi si trova a parlare di neofascismo.

Perché, per quanto tutto ciò sia assurdo, non è affatto semplice parlare di neofascismo in italia, specie quando decidi di fare i nomi e i cognomi delle persone esponendoti. Non è normale occuparsi come giornalista di un tema che costituisce in realtà un reato, e ricevere in risposta minacce e insulti, ma questo è. Basti pensare che questo secondo libro è uscito il 3 febbraio, e che già il giorno dopo circolavano sui social post con 100 o 150 insulti e minacce. Minacciare ancora prima di leggere non ha senso, ma è evidente che queste persone siano incapaci di formulare una lecita critica in forma civile e democratica: questo loro non ce l’hanno.

Tra i recenti sviluppi del neofascismo italiano un posto di riguardo lo merita la manifestazione tenutasi a Roma la scorsa primavera per protestare (pretestuosamente) contro il lockdown; manifestazione organizzata da tifoserie e gruppi neofascisti provenienti da molte parti d’Italia, in cui la componente bresciana è stata protagonista indiscussa.

Federico – Nel libro c’è tutto un capitolo che spiega proprio una delle grandi violente manifestazioni del 2020, quella del 6 giugno a Roma, che “vantava” un’organizzazione bresciana e che ha raccolto nella location romana di Piazza del Popolo gruppi ultras e neofascisti provenienti da tutta Italia. Una manifestazione nata per cavalcare il malcontento popolare in un momento in cui Forza Nuova si stava sfaldando, ed in cui stavano quindi nascendo o acquisendo importanza formazioni nuove che hanno organizzato questa iniziativa per attirare l’attenzione e per fare una prova di forza.

Tutto questo non c’entra ovviamente nulla con il Covid e con il lockdown, che pure costituiva il tema della manifestazione, se non per il fatto che da sempre l’estrema destra tenta di cavalcare ogni malessere sociale per poter fare propaganda. E’ uno schema che si presenta in tutta Italia: lo fa CasaPound nelle periferie romane, presentandosi a favore di telecamere quando fa comodo per rappresentarsi come “paladina” dei dimenticati, ma lo fanno anche i neofascisti nella nostra città.

Il libro si apre con una citazione tratta da Fahrenheit 451 dello scrittore americano Ray Bradbury. Per quale motivo?

Federico – Io non sono uno che con le sue inchieste critica CasaPound perché dichiaratamente fascista: io sono veramente una persona interessata agli estremismi ed a ciò che li alimenta. Per questo, un paio di anni fa, lessi in un’intervista in cui uno dei segretari di Casapound disse di essere un grande appassionato di Fahrenheit 451 di Bradbury.

Perché, mi sono chiesto, Casapound ha come modello un autore e un pensatore notoriamente anarchico?

Quindi all’epoca mi sono letto quello ed altri libri di Bradbury, sia in inglese che in italiano, ed ho capito una cosa: che questa persona che aveva dichiarato di adorare Bradbury è in realtà una persona con idee non molto chiare. Perché Fahrenheit 451 per come l’ho letto io è un romanzo evidentemente anti-fascista, un romanzo che dà voce a chi cerca di ribellarsi ad una società reazionaria… e chi si riconosce in un’ideologia opposta e poi dice di apprezzare questo romanzo, evidentemente non ha – prima di tutto – basi culturali chiare.

Anche per questo ho deciso di cominciare il mio libro con una citazione tratta proprio da Bradbury che recita: “Un libro è una pistola carica”.

Come dimostrano le tue ricerche, non è raro scoprire esponenti con simpatie neofascisti ben inseriti nel nostro territorio, nelle istituzioni e nel tessuto sociale. Com’è possibile, in una provincia come la nostra che – nel 1974 – è stata straziata da una delle peggiori stragi neofasciste che l’Italia abbia sofferto?

Federico – Loro sono sicuramente “bravi” a camuffare la realtà, a mostrarsi a favore di telecamere quando serve ma allo stesso tempo a operare in incognito creando ad esempio associazioni che di fatto sono riconducibili a loro, ma che hanno nomi o che si occupano di temi accattivanti e ad iniziative talvolta anche lodevoli.

Mi viene ad esempio in mente quando l’anno scorso alcuni neofascisti lombardi costituirono un’associazione chiamata (manco a farlo apposta) proprio Fahrenheit attiva in Lombardia che si occupa di distribuzione di aiuti a persone in difficoltà. Un’iniziativa in parte discutibile, ad esempio perché gli aiuti erano destinati solo a italiani (e in particolare ad alcuni italiani), certo, ma un’iniziativa a suo modo lodevole, perché aiutare le persone in difficoltà è una cosa giusta… ma anche un modo per legittimare questi attivisti neofascisti all’interno della società, per camuffarsi e per introdursi.

Un mio amico che lavora in Poliambulanza mi ha raccontato ad esempio che ad un certo punto, durante il primo lockdown, alcuni di questi personaggi hanno portato lo spiedo in Poliambulanza. Un gesto apparentemente altruista, lodevole: hanno acquistato e cucinato di tasca loro della carne, ed hanno donato dello spiedo agli operatori della Poliambulanza. Ecco, questo è quello che intendo quando parlo di “camuffarsi”. Perché chi va poi a controllare chi sono queste persone? Chi è attento a queste cose? “Macchè fascisti, questi sono bravi, portano il cibo agli infermieri, i pacchi agli anziani in difficoltà…”. E però, poi, sono quelli che appena ne hanno l’occasione ed il potere negano nei fatti i principi fondanti della nostra Costituzione.

Come è nata questa tua “passione” per il mondo dell’estremismo e del neofascismo?

Federico – Io nei prossimi mesi compirò 30 anni, ma sono già 12 anni che faccio il giornalista. Mi è sempre piaciuto il giornalismo, e mi ha sempre affascinato il giornalismo d’inchiesta: disciplina che in Italia ha scarsissima fortuna perché pochi sono gli organi d’informazione che ci credono davvero.

Per quanto riguarda il tema del neofascismo, io sono nato e vivo a Brescia da sempre, ed il fatto che la mia città sia stata una di quelle che negli anni ‘70 ha più sofferto a causa di una strage fascista, ha sicuramente fatto la differenza. Io credo che per un giovane curioso che nasce qui sia naturale farsi delle domande su ciò che è successo e che quindi nasca un certo interesse nei confronti degli estremismi. Parlo di estremismi in generale perché il mio interesse è quello: a causa della storia di Brescia ed anche del tessuto attuale non ho potuto che “specializzarmi” nell’estremismo di destra, ma non è detto che domani non possa occuparmi di altre forme di estremismo.

Ci tengo a dire una cosa: io non sono una persona che critica perché bisogna semplicemente criticare a priori. Al contrario so quello di cui parlo: sono uno che ha avuto anche dei trascorsi all’interno dell’estrema destra, che arriva da quel mondo lì. Non sono uno nato e cresciuto nell’estrema sinistra e che quindi ho una postura ideologica che mi porta a criticare ogni cosa che fanno.

Perché questo interesse mi ha portato per un certo periodo anche a frequentare l’estrema destra: io sono una persona curiosa, che ama capire e vedere le cose con i suoi occhi. Io credo che quando tu racconti una cosa, non puoi dare una lettura veritiera se ti limiti a osservarla da lontano. Se invece tu racconti una cosa che hai visto con i tuoi occhi, dopo averne parlato con le persone, è diverso: è un tipo di lavoro necessario per il giornalismo d’inchiesta.

A me piace quando capisci che un giornalista che racconta certe cose le ha viste, credo che sia una questione di onestà.

Cosa ti spinge a continuare a occuparti di questi temi nonostante le difficoltà?

Federico – Certo oggi non è facile per me continuare a occuparmi di questi temi, considerate le minacce, ma la vita naturalmente va avanti. E’ vero, ci son state difficoltà nel presentare il primo libro, perché chi si occupa al giorno d’oggi di giornalismo in Italia non ha vita facile anche se non dovrebbe essere così perché tu stai parlando di un reato, non di libertà di opinione. Ed uno degli aspetti peggiori di avere avuto problemi legati alle intimidazioni è il fatto di non essere assunto ma al contrario di essere come me un freelance: perché essendo solo diventi un soggetto maggiormente attaccabile, non sei tutelato.

Ma così vanno le cose… certo ci rimani un po’ male, soprattutto quando hai scritto un libro su Brescia e vorresti innescare un dialogo, una discussione, e invece ricevi insulti e minacce da chi il libro non l’ha mai nemmeno visto da lontano.

Ma io mi considero semplicemente un ragazzo che ha deciso di raccontare il suo territorio, che ha scelto di raccontare ciò che il suo territorio gli ha suggerito. Se io vedo una persona che si definisce fascista e si candida alle elezioni, e magari diventa esponente delle istituzioni giurando sulla Costituzione, io sento di avere il dovere di raccontare questa cosa per farla sapere a quante più persone. Lo sento perché la nostra Costituzione è antifascista, e lo sento tanto di più perché Brescia è una città che – il 28 maggio 1974 – da una bomba fascista è stata distrutta. Definirsi fascisti a Brescia io lo vedo come una mancanza di rispetto nei confronti della città, della sua gente, di quello che ha passato.


Titolo: Muori presto. Il neofascismo fra brutali minacce e violenti percorsi contemporanei
AutoreFederico Gervasoni
EditoreLiberEdizioni 2021

Genere: Saggio
Pagine: 132
Isbn: 9791280148100

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Andrea Franzoni

Nato negli anni ’80, vive in equilibrio tra Brescia e Milano. Sociologo di formazione ed attivista per necessità, lavora in una multinazionale del marketing e della comunicazione continuando a coltivare parallelamente la sua passione per le storie ed il desiderio velleitario di contribuire a rendere la città natale un po' più aperta e consapevole. Prima di fondare "Brescia si legge", ha pubblicato un romanzo distopico (Educazione Padana, 2018) e una raccolta di racconti ('I forestieri e l'anima della città. Storie di migranti a Brescia nella seconda metà dell'800', 2019).

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